Cercasi intellettuali.
Anche non parmigiani, ma senza Wi-Fi

Per una nuova architettura dell’incontro

Non si accettano lezioni di stile. L’intellettuale contemporaneo è una chimera, mezzo analfabeta di ritorno e mezzo fashion blogger: ma esiste davvero, si chiama utente social. Ha polpastrelli di cecchino, occhi allenati al rossore da stanchezza, ha letto molti libri che non ricorda. L’intellettuale contemporaneo vive l’istante e le emozioni che lo sostanziano, colpisce con vero e proprio gesto d’atleta nell’unico e solo momento buono per vincere: il picco della balena social. Non si accettano lezioni temporali. Istanti ed emozioni, velocità e ritmo, del resto, sono fatti reali e necessari nell’esercizio intellettuale contemporaneo, un carburante miscelato a dovere che muove i pistoni di dispositivi allenati a stupire; ciò che ne scaturisce, visto e condiviso, piaciuto e commentato è poi lasciato al vento della sezione notizie.
Del resto, non accetterebbe diversamente la società delle emozioni in cui viviamo, la comunità che agli infiniti istanti individuali mescola individuali reazioni temporanee presto sostituite da altri feedback. La società delle emozioni non ha e rifiuta di avere una memoria sentimentale: trascura, ovvero, tutto ciò che non si consumi nel secondo successivo al suo manifestarsi, non si trascina zavorre di ricordi che solletichino cuore e pancia per più del tempo di scroll sullo smartphone. L’intellettuale contemporaneo è questo: un influencer, che guida e fa tendenza, indica la rotta effimera del critica qualsiasi, purché apprezzata dall’algoritmo della piattaforma.

Oggi la lotta è quella all’intellettuale non indifferente alle cose del mondo.

Si realizza oggi, ribaltata, la città futura, quel luogo gramsciano in cui ognuno è parte attiva di un processo non casuale frutto dell’opera dei cittadini: qui l’intellettualità, infatti, non si mostra come esercizio diffuso, luogo in cui far maturare nuovi intellettuali non separati per mestiere e appartenenza di classe (parola obsoleta) dal resto della società. Oggi la lotta è quella all’intellettuale non indifferente alle cose del mondo. Si realizza capovolta, così, poiché depredata di senso e imbottita di utenti che dicono la propria in modo sgrammaticato e godono, narcisi e pomposi, del proprio rapido accumulo di commenti autoreferenziali.
Lo svuotamento di senso nel ruolo di intellettuale è l’inevitabile primo passo verso lo sgretolamento del luogo in cui far abitare le sue idee. Viviamo in città in cui transitare, spostarsi incessantemente senza soluzione di continuità: il cittadino connesso è privato della possibilità di vagabondare tra vie ora solo di passaggio e del tutto funzionali, senza rischi d’imprevisto. Lo spazio da civile si fa pubblico, l’identità cittadina trasuda solo nei festeggiamenti per l’ultima competizione sportiva vinta, il confronto politico scade nei botta e risposta sui perché dell’opprimente burocrazia che ne impedisce un fruttuoso esito.
L’intellettuale si consegna così al nemico, sconfitto e privato di un habitat fecondo in cui far germogliare le proprie idee. In cambio riceve una irrinunciabile chance di sopravvivenza: la metamorfosi del pensiero in opinione, dell’idea in impressione, della ricerca di un’etica sociale nella pubblicazione del proprio punto di vista personale. La felicità a questo punto non è più che un fatto privato.

Contro i muri, il populismo dilagante sulle ceneri della crisi, contro il “credo per sentito dire” e la disperazione che si fa intolleranza povera di argomenti.

Ma che dire della nostra città, Parma? L’amata, odiata, mai tradita Parma. Il gioiello ducale sogna nuovi intellettuali? Il timore, nel mischiare le carte in tavola, è forse quello di sgretolare un equilibrio precario, fatto di crescente disinteresse per la cosa pubblica, di disaffezione alla politica e ai suoi appuntamenti elettivi, di sfiducia. Serve forse un sogno comune? Serve che gli intellettuali nascosti dietro le loro librerie escano allo scoperto e per brandire un megafono?
Abbiamo forse bisogno di ritrovare il seme che da sempre crea e rinnova le società: il seme della differenza. Contro i muri, il populismo dilagante sulle ceneri della crisi, contro il “credo per sentito dire” e la disperazione che si fa intolleranza povera di argomenti. Parma ha bisogno di una politica che promuova l’incontro delle persone che vivono la città, chiunque esse siano e da qualunque parte del mondo arrivino e verso qualunque siano dirette.
Parma ha bisogno di essere forse descritta da una nuova architettura dell’incontro, di una città pensata nei suoi spazi fisici e simbolici per favorire la condivisione dell’azione quotidianità, capace di restituire allo spazio urbano il suo senso antropologico di luogo identitario, storico e, appunto, relazionale.

Annuncio da apporre al portone del Duomo di Parma:

Cercasi intellettuali raminghi
Ospitiamo gratuitamente in Città
No perditempo, meglio se costretti a peregrinare per avverso destino
e con molte storie da raccontare
Solo senza Wi-Fi

Luca Galvani