Che fatica innovare. Ma a Parma di più!

 

 

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on so che ha scritto Billy. Avevamo come tema comune l’innovazione in politica a Parma. Chi ha fatto cose nuove, in qualche modo di rottura, rispetto alla tradizione. O addirittura ha fatto una (piccola) rivoluzione, capace di andare oltre le convenzioni e i vincoli di sistema. O di assumersi la responsabilità personale di decisioni coraggiose e inedite. O di intestarsi lotte e rivendicazioni fieramente avversate dall’opinione pubblica prevalente in un dato momento storico. Questo più o meno quel che ci siamo detti un mattino di luglio, all’università di Parma in via D’Azeglio, invitandoci reciprocamente a scrivere le nostre opinioni in merito. A fare dei nomi e a ricordare fatti ed episodi che hanno avuto come protagonisti politici e amministratori locali capaci di determinare, anche di riflesso o come reazione, svolte significative sulla vita politica, sociale e culturale della città.
L’età, le storie personali, umane e professionali, consentono a entrambi di ritornare abbastanza indietro nel tempo. Con l’avvertenza, ovviamente, che citazioni e attribuzioni stanno dentro un ricordo selettivo che è molto personale e che viene, perlomeno da me, narrato in modo impressionista. Ovvero tratteggiato e in parecchi casi appena accennato. Non sto scrivendo un saggio, ma solo un articolo in forma di appunti, con l’intenzione però dichiarata di sollecitare i politici locali e soprattutto gli amministratori attuali, che sono peraltro anagraficamente abbastanza giovani, a essere coraggiosamente innovativi. Essere all’altezza di tempi, quali sono quelli attuali, in cui tutto sta cambiando molto velocemente e in modo distruttivo. Lavoro, tempo libero, sanità, clima e innovazione tecnologica sono oggetto di trasformazioni epocali. E per affrontarle con qualche possibilità di essere all’altezza dei tempi serve una politica e dunque dei politici che abbiamo in primo luogo ben presente che la precondizione perché ciò possa avverarsi chiama in causa proprio loro, in prima persona.
Certo il problema della “demovrazia malata” è globale e nazionale, resta però il fatto che a Parma , la scomparsa reale dei partiti, ridotti alle persone che la fanno per professione, a fronte anche della scomparsa della partecipazione politica e dell’associazionismo civico, sembra non avere rimedi. Visto che le uniche due proposte, se così vogliamo chiamarle (vaghe e inconcludenti) dell’ultimo ventennio, sono la presa d’atto che la politica è in crisi (ma toh!) e che lo strumento per fronteggiarla sono i CCV (comitati civici volontari) Ovvero ciò che resta di quel che erano i Consigli di Quartiere e che nell’ultima legislatura ha registrato lo zero virgola zero e qualcosa di partecipanti. Situazione questa che se si ricorda poi che da tre legislature il primo cittadino eletto ha un consenso reale che arriva a malapena al 30% dell’elettorato, obbligherebbe i politici e gli attuali amministratori a mettere al primo punto della loro agende la creazione di strumenti che riattivino la partecipazione dei cittadini e rilancino l’azione dei partiti. Qua servono davvero idee nuove, pensieri forti e convinti (e non chiacchiere) e la volontà, con anche i soldi, che vanno ricostruite le infrastrutture sociali della città, delle quali la politica è la principale, e che sono perfino più necessarie e urgenti delle infrastrutture materiali (strade, servizi logistici, insediamenti produttivi).

Servirebbero oggi alla politica e amministrazione cittadina personaggi come Mario Tommasini.

Servirebbero oggi alla politica e amministrazione cittadina personaggi come Mario Tommasini. Politico controverso e ai tempi anche divisivo all’interno della sua parte politica, però capace di atti e gesti clamorosi e perfino rivoluzionari (a partire dalla “liberazione dei matti” e da “Questa città deve cambiare”, proposta degli anni Ottanta, centrata sul recupero delle aree golenali cittadine, con in mezzo tante altre iniziative in favore delle persone e categorie sociali più svantaggiate). A lui peraltro il merito o il demerito (a seconda della prospettiva politica) di avere posto fine a un quarantennale governo della sinistra (la famosa “Parma rossa”). E avere di fatto favorito l’ascesa della lista civica di Elvio Ubaldi, altro politico di razza e sicuramente collocabile nella categoria degli “ innovatori”. Anche in questo caso però il bilancio è controverso. Il primo mandato è stato ricco di novità, che però nel secondo si sono rivelate in parecchi casi delle “sparate inconcludenti”. Nel segno di una “parmigianità” tradizionalmente propensa alla “grandeur” che Ubaldi ha cavalcato senza risparmio. Personalmente ricordo i comizi chilometrici, alla Fidel Castro, che Ubaldi dispensava nel giorno delle premiazioni civiche di Sant’Ilario. I segni irrisolti e incompiuti di alcune sue grandi opere sono ancora in piena luce: dal Teatro dei dialetti e delle tradizioni a Ponte Nord e al mega ponte di collegamento al campus universitario. Per non parlare poi del faraonico e abortito sogno di costruire la metropolitana parmigiana e di ipotizzare una Parma da 400 mila abitanti.
Non c’è alcuni dubbio però che Ubaldi sia stato un politico coraggioso, oltre che un leader capace di costruire un ampio consenso personale.
Nel decennio 1995-2005 ho vissuto relativamente poco, per ragioni di lontananza professionale, la vita politica cittadina e se vado indietro di un decennio devo lasciare campo a Billy, perché cronista che ha vissuto e raccontato molte vicende in cui sindaco e assessori del tempo sono stati capaci di atti, non solo amministrativi, controcorrente e coraggiosi. Ci sono state scelte del sindaco Lauro Grossi (che inaugurò la prima giunta di centro-sinistra a Parma: sicuramente una novità politica in una Regione come l’Emilia Romagna) così come di assessori (penso a Lionello Leoni, all’Urbanistica, che avviò tra forti polemiche, il piano di recupero del centro storico, che dopo il terremoto del 1982 era in rovina; ma anche al maestro Ulisse Adorni, alla Pubblica Istruzione) che hanno posto la città di fronte a sfide nuove.
Naturalmente non vorrei fare torto a tanti altri bravi assessori che si sono succeduti nelle varie amministrazioni, però faccio molta fatica a ricordare personalità forti e atti amministrativi che hanno lasciato il segno. Non è un caso che gli ultimi concorsi pubblici per la realizzazione di progetti importanti risalgano all’Auditorium Paganini di Renzo Piano e alla Piazza della Pace di Mario Botta: cose di 30 anni fa. Del sindaco Stefano Lavagetto, padre dell’attuale vice sindaco Lorenzo. Le giunte grilline di Pizzarotti sono solo riuscite nell’impresa di stravolgere la piazza, cementificando un po’ la grande distesa verde dell’architetto svizzero. Ci si può chiedere allora e al presente: non è tempo di dare vita ad alcune emergenze progettuali che comunichino l’ambizione dell’attuale giunta di governo cittadino di lasciere un segno urbanistico-architettonico importante? Ad esempio una Grande Biblioteca pubblica che assomigli a quella famosa di Helsinki? Ma tornerò sul tema dell’innovazione vera che viene chiesta all’attuale giunta del sindaco Michele Guerra. Ora vorrei solo richiamare brevemente la controversa Giunta Vignali per segnalare come le intenzioni positive e innovative, al di là della sua prematura fine di legislatura, abbiano dovuto fare i conti con le ricordate megalomanie ducali di Elvio Ubaldi: chiudere il capitolo della metropolitana, che fare del Teatro dei Dialetti e di Ponte Nord, per non parlare dell’aeroporto. Tutti problemi aperti che 10 anni di M5S e Effetto Parma, sindaco Federico Pizzarotti, sono rimasti allo stesso punto insoluto di prima e di sempre. Visto che pure l’attuale giunta non ha ancora espresso idee in proposito. Con Guido Conti abbiamo lanciato la provocazione di farci un mercato della frutta e del pesce, anche perché grida vendetta che due grandi emergenze urbane versino in stato d’abbandono. Pure in considerazione della non tempestività di avere approfittato del via libera all’utilizzo del terzo ponte abitato d’Italia. E della disponibilità economica dichiarata dall’Autorità di Bacino del Fiume Po, poi venuta meno anche per insipienza del successore di Meuccio Berselli.
Va detto però che la più grande occasione di innovazione profonda è stata clamorosamente mancata con l’insediamento di una giunta grillina, che partita in quarta (con la promessa di lanciare una moneta locale, di chiudere e vendere ai cinesi il termovalorizzatore, di esibire un ecologico albero di Natale a pedali in Piazza Garibaldi) ha concluso il doppio mandato nell’indifferenza generale. Ovviamente va ricordato che qualsiasi innovazione si scontra con resistenze di ogni tipo. La nostra vita quotidiana è fatta di abitudini, anche cattive, ma cambiarle è sempre una gara durissima. Tuttavia se stiamo al presente le vere e più importanti sfide e capacità di realizzare anche “progetti impossibili” richiede visione, coraggio politico e personale, azione sfidante ma non velleitaria, capacità di mobilitare la cittadinanza e anche risorse economiche, che non possono più essere solo quelle pubbliche. Ma ci sono idee e volontà di rivolgersi al capitale privato? A tutt’oggi non risulta. Questo è d’altra parte ciò che serve non per amministrare la quotidianità di una città, mantenendola in ordine, ma per risolvere quei grandi e al momento insoluti problemi a cui ho fatto già riferimento. Teatro dei Dialetti e Ponte Nord in primo luogo, per non parlare dello Stadio Tardini e dell’aeroporto, ma potremmo parlare anche della Cittadella e dell’Ospedale Vecchio che continuano a essere sospesi, tenuti a bagnomaria. Ma pure dell’alta velocità e uso dell’interconnessione e magari di un collegamento veloce (ferroviario) fra il Verdi e la Mediopadana di Reggio. Anziché favoleggiare di fermata dell’AV a Baganzola.
Tutte questioni aperte che richiedono agli amministratori e ai politici più in generale di uscire dal solito e ormai insopportabile “blabaismo”. Insomma di innovare linguaggio e modo di operare: presentando progetti, lanciando concorsi idee, fissando scadenze precise e dicendo dove si andranno a trovare i soldi. Non chiacchiere ma numeri, date e avanzamenti dei lavori. Chessò nei prossimi 4 anni quante colonnine per la ricarica elettrica delle auto o superficie dei tetti parmigiani che produrranno energia sostenibile, visto il gran parlare che si fa di mitigazione climatica e transizione energetica. Ma anche la desertificazione commerciale del centro storico, così come delle periferie chiede soluzioni originali, inedite. E non ricette scontate e buone per tutti gli usi. Se posso concludere con un auspicio che è anche una richiesta: caro sindaco, vice sindaco e assessori tutti inaugurate la stagione delle scelte sfidanti, del coraggio politico, delle risposte nuove a problemi ed emergenze che si trascinano da anni senza esito. Certo con la consapevolezza che Parma è città della tradizione e pure vecchia anagraficamente (e quello demografico è un altro grande problema cittadino), ma che proprio per questo innovare, cambiare e sperimentare è una “ vera impresa” con la quale la politica e i politici tutti, di ogni schieramento, dovrebbero, almeno provare, a cimentarsi

Giorgio Triani