#dilloinitaliano

Non solo in inglese o in dialetto

“Do yuo speak parmesan?”. Ma andrebbe già bene lo “speak italian”. Facessimo un censimento – ma a occhio è come sospettiamo- scopriremmo che nelle insegne dei negozi di Parma sono molto più numerosi gli anglismi che non le espressioni dialettali. Fermo restando che, ci si esprima in inglese oppure in parmigiano, il risultato è ugualmente tragicomico. Non si vorrebbe mai leggere ciò che invece viene esposto sulla pubblica via, senza alcuna riflessione a monte e senza alcun imbarazzo per nomi che hanno tutta l’aria di scherzi, di malintesi adattamenti commerciali a mode o tormentoni del momento. Come nei casi dei dialettali “Da chi ragàs” (pizzeria in via Cavedagni) o “La busa dal gosen” (ristorante in Via D’Azeglio). Oppure della pizzeria da asporto in via Gramsci “la qualunquemente” che in un’ipotetica classifica delle insegne più brutte sarebbe ai primi posti. O meglio: nella top ten. Assieme ai tanti hair center che hanno abrogato barbieri e parrucchiere o ai negozi di frutta e verdura o centri benessere che si chiamano “California”.

Alimentare Watson

Per fortuna non mancano alcune insegne di negozi che manifestano uno spirito non banale. Come nei casi  di “Fuori di cresta” (parrucchiere di via Montebello) o di “Alimentare Watson”, ristorante a domicilio in P.le San Giacomo). Il contesto generale è tuttavia piuttosto avvilente, anche nell’insieme segnico, ovvero dell’estetica complessiva delle insegne commerciali. Forse l’ufficio toponomastica del Comune andrebbe responsabilizzato e qualche pensiero ben organizzato andrebbe fatto sulla necessità di adottare non un regolamento ma una serie di linee guida. Ossia dei criteri capaci di orientare al meglio la scelta dei formati, dei colori, dei nomi.

Ovviamente il problema non è solo di Parma e non è di oggi, ma di tutt’Italia e da tempo. Ricorderemo la celebre rubrica “Botteghe oscure” del settimanale satirico “Cuore” che appunto metteva in ridicolo nomi e insegne commerciali. Ma più recentemente Pif su Radio Rai 2, nel programma “I provinciali”, ha rispolverato il  gioco e anche il Corriere della seraonline ha proposto una photogallery dall’inequivocabile titolo: Insegne dei negozi tutte da ridere. Geniali o involontariamente comiche (https://www.corriere.it/foto-gallery/cronache/16_marzo_13/insegne-negozi-tutte-ridere-geniali-o-involontariamente-comiche-c628ead8-e931-11e5-af8a-2fda60e0b7ae.shtml).

Tuttavia questo dilagante uso dell’inglese, nemmeno attenuato dal bilinguismo, colpisce di più quando viene esibito non da piccole realtà commerciali, ma da importanti e grandi aziende. #dilloinitaliano è un # di Twitter molto gettonato anche perché estremamente interessante, colto e ironico. Che ci permettiamo di consigliare a quelle aziende che evidentemente non hanno ben valutato l’effetto strano, la perplessità che può evocare la loro ragione sociale espressa solo in inglese, benché la loro parmigianità sia fondante e inequivoca. Se passate davanti alla fabbrica di Bormioli Luigi o di Barilla a Pedrignano, all’ingresso dello stabilimento, vedrete scritto rispettivamente “Glass makers” e  “Italian food company. Since 1877”. Non farebbe un migliore effetto se le due scritte fossero accompagnate anche dalla dizione italiana, che peraltro suona benissimo: “Vetrai in Parma” e “Pastai in Parma dal 1877”?

Noi pensiamo di sì. Anzitutto perché ci definiamo un “giornale locale ma non provinciale”. In secondo luogo perché due prodotti come il vetro e la pasta sono tipicamente italiani. Spaghetti si dice spaghetti in tutto il mondo. Non ha traduzioni. In terzo luogo la lingua italiana, benché spesso villipesa dagli stessi italiani, da qualche anno gode di crescente interesse nel mondo. L’anno scorso ha addirittura superato il francese, nelle lingue più insegnate al mondo, collocandosi al quarto posto (https://www.agi.it/cronaca/italia_francia_lingue_piu_studiate-5048814/news/2019-02-24/). Grazie al successo planetario del made in Italy che esprime benissimo il “parla come mangi” e il traino linguistico generato dal “mangiare all’italiana” nel mondo. Oltre che all’azione propositiva esercitata dagli Istituti italiani di cultura.

Dunque, per concludere: Do you speak italian? Sì: allora fatelo, per favore! #dilloinitaliano. 

Antonio Barbieri