I guasti della piazza dei Guasti

Una molto discutibile “riqualificazione” in una città indifferente.

Uno dei ricordi più vivi che ho di Parma, quando vi giunsi la prima volta all’inizio degli anni ’70, è il senso di desolazione, di dopoguerra non ancora rimarginato che mi colse quando parcheggiai la cinquecento in piazzale della Pace: un ampio sterrato su cui sovrastava l’imponente mole fuori scala del Palazzo farnesiano, col suo lato più simile ad una rovina piranesiana. Il contrasto tra questo piazzalone assolato e trascurato ed il resto del centro storico, già allora elegante e denso di presenze e scenografie urbane davvero uniche, fu davvero molto forte.

Ma non si può dire che la città non fosse consapevole di questo: era già animato un dibattito vivacissimo ed appassionato su quale configurazione dare a quel vuoto che le ferite della guerra avevano lasciato nel suo cuore stesso. Un dibattito che, in un crescendo rossiniano, investiva non solo le élites culturali, ma vide esprimersi l’intera opinione pubblica, allora organizzata principalmente nelle forme dei partiti. Tale dibattito fu animato da progetti e proposte che si susseguirono nel tempo nel corso di oltre un trentennio, senza che si riuscisse ad arrivare ad una sintesi o, almeno ad una composizione delle diverse tesi e proposte.
Ricordo le vivaci assemblee, gli infuocati Consigli comunali, le conferenze ed i dibattiti, i numerosi progetti che hanno visto coinvolti non solo la quasi totalità degli architetti parmigiani, ma si può ben dire il Gotha dell’architettura italiana dell’epoca. E infine, con una decisione draconiana il Sindaco Lavagetto decide di realizzare l’ultimo dei progetti presentati, frutto dell’incarico conferito all’architetto Ticinese Mario Botta, che prevedeva in buona sostanza la realizzazione di un grande prato all’inglese, un “sagrato” verde dal quale far sorgere la grande mole farnesiana: un progetto minimalista con l’obiettivo di riqualificare la piazza senza scontentare nessuno, dopo che ci si era per così tanto tempo divisi su come intervenire.

Foto: http://www.botta.ch

Per lo stesso motivo, però, il progetto che giungerà a compimento nel 2001 (dopo la lunga Odissea) non incontrerà mai la condivisione di tutta la città. Forse per questo, forse per il radicale cambio di orientamento politico dell’Amministrazione nel corso dell’iter realizzativo, certamente per l’abbandono della piazza nel corso delle successive Amministrazioni vignaliane, il degrado fisico e sociale si è via via affermato e quell’elegante spazio verde, inizialmente fruito da tutta la città, è divenuto “terra di nessuno”, violentata da un’orribile torre-faro da svincolo autostradale e da incongrue manifestazioni pseudo artistiche e sagre pecorecce.

il piazzale non può continuare ad essere abbandonato ad un simile degrado

La nuova Amministrazione Pizzarotti, dopo i primi anni quaresimali imposti da buco di bilancio lasciato da chi li aveva preceduti, decide che il piazzale non può continuare ad essere abbandonato ad un simile degrado (cui essa stessa aveva in parte contribuito…). E forse per non correre il rischio di invischiarsi in lungaggini pluridecennali, affida l’incarico per la sua riqualificazione non all’arch. Botta (seppur ancora vivente ed attivo…), bensì a un professionista locale, noto nell’ambiente per essere collaboratore dello Studio Faroldi.

Alla presentazione ufficiale del progetto, a ridosso delle scorse elezioni, in S. Tiburzio saremo stati in una ventina compreso l’assessore competente ed il progettista. Linee guida del progetto sono due “assi di penetrazione” (così definiti in molteplici passaggi nel corso dell’illustrazione): uno che lastrica il prato compreso tra i due trottatoi; uno spazio a dimensione carreggiata autostradale destinato, a sentir l’assessore, a non meglio precisati “eventi”. L’altro “asse di penetrazione”, di dimensioni però meno “virili”, è costituito in buona sostanza dal prolungamento virtuale di via Verdi fino a tagliare con inclinazione “a fetta di salame” l’intero campo plateatico. A complemento di queste penetrazioni, viene lastricato tutto il prato tra il portico delle scuderie e la fontana ex S.Pietro Martire, tutto il contorno della fontana stessa e “parquettati” due lembi, nord-est e sud-ovest. A occhio, una complessiva riduzione del prato di circa un quarto e la sua suddivisione in tre aiuolone dalle poco comprensibili geometrie. Sembra quasi che il retaggio storico del nostro passato contadino, con il suo identificare ogni pavimentazione come simbolo di redenzione dal fango della campagna, abbia colpito ancora. Dal folto pubblico viene espressa la sola preoccupazione che non venga ridotta la sosta nella piazzetta davanti alle scuderie. La rappresentante della Soprintendenza si limita a portare i saluti. Seguono quattro foto ed alcune righe in cronaca locale.

totale indifferenza della città rispetto ad un tema che, nel secolo scorso, l’aveva appassionata in una misura addirittura eccessiva

Spero mi verranno perdonate alcune ironie, ma di tutta la vicenda quel che mi ha più impressionato è stata la totale indifferenza della città rispetto ad un tema che, nel secolo scorso, l’aveva appassionata in una misura addirittura eccessiva. Qualche rara voce di dissenso, qualche mugugno e nient’altro. Persino l’architetto Botta, da me interpellato, in fondo, si è mostrato non so se più rassegnato o indifferente rispetto al destino della sua piazza: non conosceva il progetto, gli era stato solo detto della buona intenzione di riqualificarla e, si sa, di buone intenzioni… 
Riccardo Tonioli