Il Grande Sonno di Parma

Il grande sonno della città. Il letargo parmigiano. Covid è stato e ancora è un potente depressore dello spirito pubblico e dell’umore privato. Non ci si può incontrare e forse nemmeno c’è la voglia. Perché la paura è un potente inibitore della socialità. Eppure sarebbe l’occasione giusta per pensare e magari scambiarsi online i pensieri. Se ci fossero però i luoghi e gli strumenti per essere stimolati a farlo. Strutture cittadine di collegamento, connessione, abilitazione di competenze e saperi diversi . Reti digitali civiche che però non esistono e che si sommano molto negativamente all’inesistenza ormai ultradecennale di una rete politica in grado di attivare l’opinione pubblica; e di una rete intellettuale e culturale capace di mobilitare il fervore ideale di una città che è stata una capitale culturale europea. Ciò per dire quanto sia distante quella Parma che racconta il libro di Guido Conti “La citta d’oro” dalla Parma attuale che pure si fregia del marchio di “Capitale italiana della cultura”.

Il Grande Sonno di Parma è in primo luogo politico.

Il Grande Sonno di Parma è in primo luogo politico. Ho già detto e scritto su questo qui su Pidieffe. La scomparsa dei partiti, ormai ultradecennale, ha creato un vuoto di iniziative e di proposte, ma soprattutto di idee e progetti nuovi che è sotto gli occhi di tutti. Per le conseguenze negative che ha avuto sulla partecipazione dei cittadini, sulle forme e obiettivi di lotta, oltre che sui contenuti della stessa. La sollevazione popolare sul progetto di ristrutturazione della Cittadella è lì a dimostrarlo. Nel senso che non è in discussione la giusta protesta contro il progetto di ristrutturazione voluto dal Comune, bensì il fatto che abbia mobilitato l’intera città. Su un obiettivo super-minimale: lasciare tutto, ma proprio tutto così com’è.
Più o meno si tratta delle stesse polemiche e opposizioni al progetto di ampliamento dell’aeroporto, che per quanto mosse da preoccupazioni e paure più che legittime, scontano anche qui un minimalismo ambientalista che non ha respiro – anche se quella dell’aria pulita a Parma è un’istanza importante. Nel senso che ci sta l’opposizione a un aeroporto cargo, ma è incredibile che, anziché considerare quello che è costato l’aeroporto e dunque la necessità di utilizzarlo bene, se ne chieda la chiusura. Invece di scommettere sulle potenzialità della struttura puntando sull’innovazione spinta. Per fare tre esempi: diventare un hub per start up e imprese innovative operanti nell’ambito aeronautico (non mancano ispirazioni: https://www.emiliaromagnastartup.it/it/innovative/articoli/2019/12/airtificial-intelligence-il-primo-hackaton-del-settore-areonatico); luogo vocato per i servizi di aereo-taxi e per la produzione e il volo di droni (presto anche abilitati per il trasporto personale). Tutto ciò (https://youtu.be/6EL4YU_CM3k) e quant’altro di veramente innovativo e realizzabile andrebbe ovviamente sviluppato su una piattaforma interamente digitale.
Ma dicendo aeroporto possiamo anche chiederci perché, anziché avanzare la richiesta “municipalistica” della fermata dell’Alta Velocità a Baganzola, non ci si muova e impegni per creare un avanzato sistema di trasporto e mobilità che copra l’intera “area vasta”. Cominciando a pensare e progettare collegamenti molto veloci fra aeroporto parmigiano e stazione dell’Alta velocità reggiana. E magari, tanto che si è in viaggio, considerare il ruolo che potrebbero avere i tratti minori ferroviari, opportunamente modernizzati. Ad esempio la Parma-Suzzara, che peraltro entra nell’ordine del giorno approvato dal consiglio provinciale di Reggio Emilia, per la creazione di una metropolitana leggera con Mantova (https://www.provincia.re.it/comunicato-stampa/una-metro-tra-la-mediopadana-e-mantova/).
Qui il riferimento a Reggio Emilia consente anche di segnalare la proposta che è stata ufficialmente presentata nei mesi scorsi di una rete filoviaria lunga 14 chilometri, in grado di collegare sull’asse nord-sud le zone principali della città (https://www.reggiosera.it/2021/01/tram-in-citta-reggio-emilia-ci-crede-e-cerca-risorse/273568/). Una soluzione ecologica e proiettata in un futuro sostenibile che induce nuovamente a chiederci: perché non anche a Parma? Certo l’idea faraonica e naufragata della metropolitana ubaldiana ha lasciato il segno. Però il mondo va avanti e nei prossimi anni di gran carriera. Ancor più veloce di quel che era prima della pandemia, proprio per l’effetto acceleratore che sta avendo e avrà il coronavirus, come peraltro è puntualmente successo dopo ogni grande epidemia.
Naturalmente non auspico che ci si metta a correre senza pensare bene dove si vuole andare. La fretta è sempre cattiva consigliera. Però non ci si può permettere di dormire. Né sugli allori di una tradizione ricca e fortunata. Né sulla compassatezza di uno spirito parmigiano che si crede snob e molto alla moda, ma che non lo è più tanto. Avendo perso quello smalto intellettuale che da tempo è morto e sepolto, come i suoi principali interpreti, nel secolo scorso. Certo Parma è una città della tradizione e conservazione: carattere questo che non va assolutamente abbandonato. Anzi: coltivato, ma attualizzandolo e allineandolo alle tendenze e scenari probabili. Tutti declinati in chiave digitale. Si veda al proposito il recente rapporto Deloitte per Vodafone sul “valore della digitalizzazzione” (https://www.vodafone.com/sites/default/files/2021-03/Digitalisation-An-Opportunity-for-Europe.pdf) che segnala come le tecnologie digitali ci abbiano consentito e ci consentano di andare avanti anche nel pieno della pandemia. Figurando anche per i prossimi anni come il principale driver di sburocratizzazione della pubblica amministrazione e di sviluppo economico. Si stima, per fare un esempio riferibile all’intero nostro territorio provinciale, che per “ogni 1.000 nuovi utenti della banda larga nelle zone rurali, vengono creati 80 nuovi posti di lavoro”.

Mancano i Maestri

Non credo di dovere aggiungere che, per cominciare a entrare nell’ordine di idee che ho sinteticamente delineato, serva una classe dirigente complessiva, che oggi non c’è. Devo però ribadire che se l’imprenditoria parmigiana è piuttosto old – come nel resto del paese – e la politica latita, la comunità intellettuale e culturale è addirittura assente. Mancano i Maestri. Anche se non mancano intelligenze brillanti, professionisti creativi, artisti e autori intraprendenti. Il problema però e che non fanno massa critica. Non si vedono fra loro e non si incontrano. Ognuno per sé e tutti presi dai personali impegni e soprattutto gravati da una desuetudine a trovarsi e confrontarsi che ormai dura da decenni. E qui viene da chiedersi, o meglio ripetere, visto che l’ho già scritto un anno fa: non sarebbe questo un tema forte da porre alla pubblica attenzione e non solo degli addetti ai lavori, nell’anno di Parma capitale culturale?

società parmigiana sfilacciata, sbrindellata, sonnolenta

Il quesito è ovviamente retorico. Non lo è auspicare che questa società parmigiana sfilacciata, sbrindellata, sonnolenta, anche perché i livelli di ricchezza e benessere realizzati dai nonni e padri ancora tengono, venga archiviata. Sicuramente è molto più facile dirlo e augurarlo che farlo. Tuttavia la pandemia offre una formidabile occasione di cambiamento. Perché come è sempre accaduto dopo i grandi traumi (guerre mondiali e svolte socio-economiche epocali) trasformazioni profonde e radicali sono dietro l’angolo. A portata di mano. Però bisogna vederle e volerle, dopo di che progettarle e soprattutto predisporsi ad afferrarle. Al volo. Perché viviamo in un tempo dove le occasioni non si presentano due volte. E dove la finestra di possibili e anche rischiose innovazioni, spalancata dalla pandemia, si chiederà presto. Svegliamoci, muoviamoci! 

Giorgio Triani