Il Principio di San Martino

La mutualità ai tempi del COVID-19

EL Greco, San Martino e il mendicante,1597-99

Il Principio di San Martino

La mutualità ai tempi del COVID-19

In questi giorni di lenta traversata nella pandemia si parla molto, e giustamente, dell’impatto socio-economico che questo evento è destinato a provocare.
Un impatto abnorme ma, al momento, difficile da valutare anche perché ancora non è neppure definito il confine della situazione sanitaria. In primis l’estensione, la durata, l’iterazione del fenomeno.

Una indubbia condizione sarà, anzi già è, la profonda crisi di molti settori produttivi, con effetti variabili che, in taluni casi, si manifesteranno con mutazioni strutturali.
Una crisi che trasformerà l’assetto e il ruolo dei sistemi economici e sociali di molte nazioni e che ridefinirà radicalmente la sorte di molte persone, talvolta precipitandole in una povertà improvvisa e imprevista.

la crisi, esattamente come la malattia, non sarà democratica

Ma la crisi, esattamente come la malattia, non sarà democratica.
Essa produrrà infatti un nuovo disegno della composizione della società, amplificando, in sistemi che già portano con sé profonde diseguaglianze, una inedita divaricazione tra “abbandonati” e “tutelati” (evocazione non involontaria di Primo Levi).
Una spaccatura durissima che sarà l’epilogo di una disomogenea distribuzione delle tutele e cioè di un fenomeno che da alcuni decenni sta erodendo tutte le società post-industriali, tra esse certamente l’Italia, e che le élite politiche ed economiche, incluse molte forze di sinistra e molte organizzazioni sindacali, hanno alimentato o, al più, osservato con colpevole indifferenza.

La crisi è già tra noi ed è, ovviamente, motivo di dibattito. Se ne parla continuamente e morbosamente a scala macroeconomica, cioè riflettendo sui dati di reddito, consumo, risparmio, investimento, occupazione di grandi aree geografiche, continenti o nazioni.
Negli USA, che hanno un mercato del lavoro assai più fluido, nonché spregiudicato e spietato di quello europeo, gli effetti socio-economici della pandemia da poco iniziata sono già immensi.
La più grande economia del mondo vacilla per l’impatto della pandemia e di una recessione annunciata che questa volta non ha generato lei stessa: in due settimane hanno fatto domanda per il sussidio di disoccupazione 10 milioni di persone. Non era mai successo prima d’ora che il Dipartimento del Lavoro statunitense ricevesse tante richieste tutte insieme; l’ultimo record era stato segnato nel 1982, con 695mila domande in una settimana. Allora, quando si innescò la più profonda crisi dell’economia globale dal dopoguerra, gli Stati Uniti sfiorarono il tasso record del 25% di disoccupazione. Oggi, è la prima volta in nove anni che il numero di persone senza lavoro torna a crescere.
A febbraio di quest’anno il tasso di disoccupazione tra i bianchi era il 3,5%, il 5,8% tra gli afroamericani e il 4,4% tra i latinoamericani; in due settimane questi numeri sono saliti rispettivamente al 17%, al 19% e al 17%. Un’impennata dovuta principalmente ai licenziamenti nel settore del commercio, della ristorazione, del turismo e dell’intrattenimento, ma non solo. In questi giorni anche le compagnie di petrolio e gas hanno avviato tagli al personale per via del crollo dei prezzi.” (“The Vision”, 3 aprile 2020).
Proprio per il suo intrinseco dinamismo, che non è solamente normativo, la ripresa dell’occupazione statunitense verosimilmente avverrà in tempi rapidi, ma non si deve sottovalutare che l’evento COVID-19 è ben lungi dall’avere esaurito il processo di espansione sul territorio e pertanto le conseguenze strutturali sono di fatto ignote.

Le economie forti emergeranno ancora più forti (ma solo in termini relativi) e quelle deboli emergeranno ancora più deboli. Il divario fra Nord e Sud rischia di diventare un abisso.

Lo scenario europeo, moltissimo quello italiano, è ben più vischioso e se è vero che l’impatto sarà meno vistoso nell’immediato, sarà anche più penetrante e condizionante.
Abbiamo importanti settori, decisivi per la ricchezza nazionale, a basso tasso di innovazione o a bassa marginalità che già a pandemia in corso stanno collassando.
Le economie forti emergeranno ancora più forti (ma solo in termini relativi) e quelle deboli emergeranno ancora più deboli. Il divario fra Nord e Sud rischia di diventare un abisso.
La Germania sta impegnando 1.000 miliardi di euro per preservare il suo nucleo industriale ed economico.
L’Italia non può rischiare una iniziativa analoga.
Goldman Sachs prevede una contrazione dell’economia italiana dell’11,6%. Di conseguenza il debito pubblico esploderà.
Il rapporto debito/Pil salirà al 150% in breve tempo — un territorio inesplorato per un debitore sub-sovrano senza il controllo della leva monetaria e del tasso di cambio, con un sistema bancario che era in difficoltà ancor prima che la pandemia colpisse.
Nemmeno Spagna, Portogallo, Grecia e Cipro possono permettersi di spendere per superare la crisi e quei Paesi saranno inoltre devastati dal crollo del turismo.
Gli Stati creditori del Nord, quindi, dovranno decidere se affrontare il loro “momento Hamilton”.
Faranno finalmente come la Virgina (il più ricco dei 13 Stati) che, nel 1790, acconsentì a mettere in comune i costi ereditati dalla Guerra Civile, istituendo una ‘tesoreria federale statunitense’ con poteri espansivi?
Accetteranno un sindacato fiscale? I ‘paesi parsimoniosi’ e gli ‘anseatici’ — ma soprattutto la Germania — affronteranno finalmente le implicazioni di un’Unione Monetaria, cui hanno ostinatamente resistito per due decenni?” (F. Leaf da “Economic shock from coronavirus forces Europe to face its ‘Hamilton moment”, A. Evans-Pritchard, “The Telegraph, 25 marzo 2020)

Ma i tecnicismi macroeconomici, soprattutto quelli di natura finanziaria, per quanto determinanti appaiono impalpabili. La narrazione del lavoro si svolge altrove, là dove ci sono le storie di coloro che materialmente dovranno fronteggiare una precarietà e una incertezza che potrebbero diventare condizione strutturale.
Nella querelle diplomatica sovranazionale resta indefinita la sorte dei singoli individui e delle singole famiglie. Una sorte che già durante la convalescenza collettiva va delineandosi con effetti assai differenziati per ciascun cittadino.

Si deve dirlo.
Per alcuni, per molti non cambierà granché. Certamente non cambierà la condizione economica. Tutti coloro che hanno un reddito o una rendita garantite possono attendere, nutriti da rassicuranti certezze, che passi la nottata.
E agli altri? Simbolici oboli di sussistenza una tantum, mentre si immaginano titaniche operazioni finanziarie a scala continentale che dovrebbero produrre quei magnifici effetti a cascata di fragile e incerta consistenza.

Ci sarà una guerra sociale che va disinnescata dal basso.
E dibattere di mutualità solo nella visione sovranazionale è ipocrita, oltreché insufficiente.
Serve una mutualità interna, attiva a livello di individuo/famiglia o di categoria sociale che certamente non è in conflitto con altre azioni organizzate di natura finanziaria. Una partecipazione attiva, non necessariamente spontanea, ma necessariamente regolamentata, perché altrimenti ogni lamentela sull’Europa matrigna sarebbe vacua.

Alcuni dati generali.
Popolazione italiana (fonte ISTAT – anno 2019): 60.359.546;
Occupati (fonte ISTAT – anno 2019): 23.383.000 circa. Pochissimi.
Abbiamo un tasso di occupazione (rapporto tra occupati nella fascia 15-65 anni e popolazione nella medesima fascia di età 15-65 anni) tra i più bassi nello scenario dei paesi industrializzati: circa il 63% (dato EUROSTAT 2018) oggi sceso al 59%.
Paesi con una popolazione e una età media simili a quelle italiane hanno ben altri dati: Germania 80%, Regno unito 79%, Giappone 79% (dati EUROSTAT 2018).

L’Italia offre questi ulteriori dati sulla popolazione, sul lavoro e sulla ricchezza.
Sulla occupazione e sul reddito:
Pensionati: 16.000.000 circa (fonte ISTAT anno 2019):
Lavoratori dipendenti (a vario titolo): 18.000.000 circa (fonte ISTAT anno 2019),
di questi, dipendenti pubblici: 3.500.000 circa (fonte ISTAT anno 2017 – ultimo disponibile);
Lavoratori non dipendenti (a vario titolo): 5.300.000 circa (fonte ISTAT anno 2019).

Distribuzione della ricchezza e delle diseguaglianze (Fonte OXFAM INTERNATIONAL – anno 2018):
Ammontare complessivo della ricchezza nazionale netta (in valori nominali) 8.760 miliardi di Euro:
In termini patrimoniali netti:
l’1% più ricco della popolazione italiana detiene il 24,3% della ricchezza nazionale,
(ampliando l’area, il 20% più ricco detiene il 72,1% della ricchezza).
Il 60% più povero della popolazione italiana detiene complessivamente il 12,4% della ricchezza nazionale

Altrove più persone lavorano e molte meno vivono “sommerse”.
Ma, per l’appunto, abbiamo molti cittadini, a vario titolo e a varia intensità, totalmente garantiti. Legittimamente garantiti.
Al contempo ci sono, e ce ne saranno sempre più, persone che stanno perdendo vertiginosamente il proprio reddito. Persone di fatto senza tutela alcuna: gli “abbandonati”.
Credo, non suoni come una blasfemia, che nelle interazioni della società di ogni singola nazione si debba applicare un principio di mutuo soccorso tra singoli cittadini.
È evidente che nel post-pandemia a soffrire saranno soprattutto i lavoratori non dipendenti, i lavoratori dipendenti a bassa tutela (piccole imprese, contratti non a tempo indeterminato, ecc.) e i lavoratori in condizione “sommersa” forzata (condizione, questa, di complessa definizione). Non tutti subiranno allo stesso modo gli effetti della crisi economica che sta accompagnando la pandemia, ma certamente i sofferenti staranno sostanzialmente nelle categorie citate.

E allora perché non applicare un meccanismo di mutualità microeconomica che preveda una contribuzione a favore degli “abbandonati” da parte dei “tutelati”? Una strategia di solidarietà organizzata, ovviamente da applicare in modi e forme differenziate, con incidenza progressiva sui singoli in rapporto allo specifico status individuale.
Chi ha più certezze, e non solo più ricchezze, ne dia a chi ne ha meno.

Ben più di un “contributo di solidarietà”. Un gesto laico di condivisione della sofferenza a imitazione, materiale e non simbolica, del taglio del mantello di Martino di Tours.

Un po’ più di freddo per tutti, un po’ più di caldo per tutti.
E dopo, si spera, arriverà l’estate. Quella di San Martino appunto, ma un po’ più lunga. 

Paolo Bertozzi