
Il “sogno Americano” è passato da Parma
Vincerà ancora Trump le presidenziali del 2.020 ? *
Sono passati poco più di dieci anni dal crollo della Lehman Brothers, un avvenimento che innescò una reazione a catena sfociata nella più grave crisi finanziaria dagli anni Trenta a oggi.
Soffermiamoci un istante a tirare una linea da quel momento — era il 15 settembre 2008 — toccando via via tutto ciò che ne è seguito.
Il crac finanziario che travolse gli Stati Uniti scatenò una recessione globale e una crisi del debito sovrano in Europa talmente grave da minacciare addirittura la sopravvivenza della zona euro. Contribuì inoltre a convincere la leadership cinese che le riforme in materia economica non potevano più aspettare.
Un’ondata di instabilità investì e travolse le nazioni del Nord Africa e del Medio Oriente.
Il prezzo del greggio, nell’estate del 2008, passò da 147 a 30 dollari al barile, contribuendo a spostare gli equilibri internazionali del potere.
Le sollevazioni popolari in Medio Oriente hanno a loro volta provocato nuove crisi in Europa, quando oltre due milioni di migranti si sono incamminati verso Nord alla ricerca di salvezza e di migliori condizioni di vita, generando nuove paure e incertezze tra la popolazione europea, e queste, aggravate dal timore della perdita di identità, hanno trasformato l’assetto politico del Vecchio continente. Risentiti e impauriti, gli elettori europei hanno cominciato ad abbandonare in massa i partiti politici tradizionali.
Di fronte alla scelta tra le insidie di un futuro europeo e un salto nel buio, gli elettori britannici hanno preferito lanciarsi nel vuoto.
Le elezioni americane del 2016 hanno respinto nell’angolo personaggi politici familiari e altamente qualificati a favore di un uomo d’affari: Donald Trump.
Nel 2017, gli elettori francesi hanno bocciato l’intera classe politica del loro Paese. I partiti che da decenni avevano dominato la scena politica, sono stati spazzati via a favore di un candidato, Emmanuel Macron, a capo di un partito da lui stesso creato dal nulla appena un anno prima.
I tedeschi, dal canto loro, hanno rieletto la cancelliera Angela Merkel per un quarto mandato, ma il suo partito di centrodestra e i suoi partner della coalizione di centrosinistra hanno fatto registrare un crollo impressionante dei consensi, i più bassi da decenni a questa parte.
A marzo del 2018, gli elettori italiani hanno scartato i vecchi partiti di centrosinistra e di centrodestra per dare il loro voto a un partito fondato nove anni or sono da un comico di professione e a un partito autodefinitosi separatista.
A luglio, i messicani hanno eletto il primo presidente di sinistra dagli anni Trenta, un uomo alla guida di un partito politico creato appena quattro anni fa.
Gli elettori in Pakistan hanno ripudiato le antiche dinastie Bhutto e Sharif, che avevano detenuto il potere per decenni, a favore di un leader diventato famoso come capitano della squadra di cricket che nel 1992 aveva vinto la Coppa del mondo. (KHAN)
Il Brasile nelle recenti elezioni presidenziali ha eletto, Bolsonaro, rappresentante di un partito a cui si è iscritto solo qualche mese prima. Un partito che contava appena 9 tra i 513 seggi della Camera bassa.
Quali sono le principali tendenze sulla scena politica internazionale di oggi? Sbarazzarsi del vecchio, sgombrare la strada al nuovo.
Quali sono le principali tendenze sulla scena politica internazionale di oggi? Sbarazzarsi del vecchio, sgombrare la strada al nuovo.
Gli elettori in tutto il mondo sono alla ricerca di un volto nuovo, chiunque esso sia, qualcuno che li aiuti a riprendere in mano le loro vite e li allontani dalla disperazione dalla quale si sentono minacciati.
Il nostro Paese ha ora un “governo del cambiamento” che comunque lo si veda o giudichi è un assoluto inedito. Se mai si dovesse ritornare presto alle urne potrebbe spuntare un nuovo leader di cui ora non si sa nulla e un partito politico che non esiste ancora. I cambiamenti si susseguono a un ritmo travolgente.
Questo rifiuto su scala globale verso tutto ciò che è storico e conosciuto, accompagnato da uno slancio verso tutto ciò che è nuovo e inedito, non rappresenta uno spostamento verso destra né verso sinistra.
Donald Trump è di destra?
Macron, in Francia, è un centrista ? Lopez-Obrador del Messico è un uomo di sinistra?
No, queste tendenze riflettono semplicemente la rabbia e la paura che spingono i cittadini all’esasperazione. Da dove verranno i posti di lavoro di domani? Quanto sono sicure le nostre frontiere?
La situazione internazionale sta cambiando così rapidamente da sfuggire di mano ai nostri governanti?
A dieci anni di distanza da un crac che ha messo in moto un processo di rimodellamento del nostro mondo, questi timori si incarnano in un profondo sovvertimento politico a livello globale, una destabilizzazione di cui sicuramente non abbiamo ancora visto la fine.
Where is the “America Dream”. Dove è finite il sogno Americano ?
Ma guardiamo ora a quello che accade qui:
Where is the “America Dream”. Dove è finite il sogno Americano ?
Da quando Donald Trump ha vinto le elezioni negli Stati Uniti si sono moltiplicati i “must read” per comprendere perché un presidente così poco ortodosso, sia riuscito a conquistare un paese come l’America , che tutti avevamo la presunzione di conoscere bene, al punto da prevederne le scelte.
Cos’è che non abbiamo capito? Questa è la domanda che in molti si sono posti negli ultimi mesi soprattutto in Europa, e per trovare una risposta bisogna imparare a decifrare il mondo americano in questa nuova fase della sua storia.
In un saggio, “The Complacent Class: The Self – Defeating Quest for the American Dream”, (Tyler Cowen) da poco pubblicato si comprende come è cambiata, e come sta cambiando l’America. L’analisi e dati del saggio ci mostrano come la “restlessness” americana di Tocqueville, quella smania irrequieta di muoversi, di progredire, di gettarsi in avanti, di rischiare sia diventata un po’ meno forte, un po’ meno prorompente, al punto da creare una cultura che è quasi l’opposto: “complacent”, appunto.
Questo termine, “complacency”, è di quelli che non hanno una traduzione perfetta in italiano, anzi, è pieno di sfumature, che vanno dalla gratificazione, alla pigrizia, al menefreghismo, e che in sintesi segnala una grande trasformazione: sto dove sto, non ho più voglia di cambiare. L’America si ferma in una vera e propria stagnazione culturale.
Nel saggio, c’e una definizione della “complacency” che condivido: se smetti di accettare sfide nuove, e se pensi che il tuo modo di vivere sia l’unico giusto e possibile, questo “modo” alla fine diventerà più fragile, non migliorerà, e tu entrerai in una bolla, dalla quale vedrai con sempre ulteriore sorpresa quel che ti accade intorno e le proposte di cambiamento che ti arrivano da fuori, le considererai quasi sempre una minaccia.
Starai dove stai, insomma, e sceglierai di innamorarti di chi ti assomiglia, di ascoltare la musica che piace a chi è come te, di leggere notizie e analisi di chi la pensa come te, di abitare vicino a persone che più o meno guadagnano come te… costruendo la nuova “segregazione” , cui s’è condannata oggi parte dell’America.
la “matching culture” dal punto di vista delle relazioni cambia profondamente il sistema di valori
Questa, che chiameremo “matching culture”, ha avuto un effetto positivo sull’economia e sui consumi: compriamo di piu’, sbagliamo di meno, ci arrivano proposte che ci interessano, perdiamo meno tempo. Ma dal punto di vista delle relazioni, cambia profondamente il sistema di valori.
La sorpresa nella diversità, che era alla base dell’istinto da pioniere americano, è stata annullata dal desiderio di sistemarsi in ambienti confortevoli, in cui i punti di contatto sono la maggior parte, e il confronto è ridotto allo zero. Perché sto bene dove sto, con chi mi è simile.
L’analisi su questa situazione non e’ solo prettamente economica, ma si allarga sopratutto al sociale, anche perche’ studiando da vicino i ‘millennials’ si afferra, che il rallentamento della crescita della produttivita’e’ il dato da cui partire.
Quanto tempo dedichamo a coccolare i nostri figli rispetto a quanto e’ successo a noi? Quanto questo li disincentiva a lasciare casa e trovare soluzioni piu’adatte alla loro concezione della vita?
In questi 3 anni di vita qui, mi sono convinto che e’ in corso un cambiamento strutturale nella societa’ americana, e che la tradizione del pioniere, del progresso sempre e comunque, non e piu’ cosi viva.
Molti americani non amano piu’ tanto il cambiamento, a meno che non siano in grado di gestirlo e controllarlo. Lo spirito d’avventura e da avventuriero si è ridimensionato. Gli americani sono diventati un mito nella nostra parte di mondo, in cui si è estremamente più statitici, per la loro incessante mobilità: per studiare, per lavorare, per inseguire una donna o un sogno, qualsiasi motivo era buono per muoversi.
Oggi il tasso di americani che si spostano in Stati diversi da quello d’origine si è quasi dimezzato rispetto al livello degli anni Sessanta. ( E’ il 41%).
Nel 1983, il 69 % dei diciassettenni aveva la patente, oggi soltanto il 50 %. Anche in termini di innovazione alcuni dati sono sorprendenti.
La quota di americani under 30 che ha un business in proprio è scesa del 65 % dagli anni Ottanta.
Si registra un quarto dei brevetti in meno rispetto al 1990, e anche la flessibilità sul lavoro è molto diminuita: è come se avesse attecchito nell’America del nuovo millennio la italica logica del “posto fisso” .
Assieme anche a un pericoloso istinto “no Tav”: Stiamo passando dal “Nimby”, (not in my backyard), a “Banana”, (build absoultely nothing anywhere near anything).
Fare nuove costruzioni diventa ogni giorno più difficile nella maggior parte delle città USA, e la ratio tra affitti e reddito medio si è costantemente alzata.
La vita americana è segregata in termini di reddito come mai prima d’ora, e le nuove innovazioni che si creano, stanno consolidando invece che invertendo questo trend, che è sostenuto dalle leggi locali ma anche dal desiderio americano di vivere tranquilli in quartieri e zone confortevoli.
E se a questo si aggiunge il fatto che si preferisce non uscire di casa perché tutto quello di cui c’è bisogno, può essere consegnato e consumato tra la cucina e il salotto, si capisce quanto profonda sia questa nuova “passività”, che annienta la cultura dell’automobile, come quella del nuovo lavoro.
La lettura dei dati non è rassicurante, anzi. Ogni tabella del libro tira una piccola martellata al mito americano. Ma non vorrei sembrare troppo pessimista. Il sogno americano non è morto. Certo, un approccio tecnocratico o ingegneristico per riaffermare il sogno americano non funzionerebbe. La gente non è interessata a questo tipo di mentalità in questo momento, non a livello politico almeno.
Penso che gli effetti positivi della rivoluzione digitale che sta producendo nuovi modelli sociali, culturali, economici e politici, ripulirano l’America, e alla fine una nuova versione moderna dello storico e celebrato dinamismo Americano emergerà.
Ma quanto c’entra questo spirito del “sto bene dove sto” con il trumpismo? Trump rappresenta un romantico ritorno al passato.
Quando il presidente parla di infrastrutture, non si riferisce allo ‘smart grid’, a reti di informazione e tecnologie sofisticate, ma pensa alla riparazione di strade, gallerie e ponti.
Non c’è nulla di male in questa idea, ma certamente mostra quanto indietro guardi la sua visione politica. Trump vorrebbe riportare l’America agli anni Cinquanta, quando c’era meno libero commercio, e meno immigrazione.
Ho avuto la fortuna di arrivare qui durante l’anno della campagna per l’elezione del Presidente degli Stati Uniti, primarie incluse. Sono stato ad entrambe le convention e ho ascoltato i discorsi dei due leader.
Quello di Hillary Clinton, per quanto pratico, pragmatico e “cool”, era ancora radicato dentro modelli di progettualità politica del ‘900, con il rispecchiamento tra leader, partito e nazione, lo slancio verso il futuro, la costruzione di un’identità collettiva che avrebbe esportato il modello “Stronger Together” prima nel Paese e poi ovunque nel mondo.
Trump invece non disegna alcun futuro. Cavalca, e sfrutta, amplifica le emergenze del presente.
Sfreccia sullo spirito dei tempi incerti e precari in cui non c’è spazio per luminosi riferimenti ai discorsi di Kennedy o di Martin Luther King e sa bene che, lungi dall’essere scomparsi, Repubblicani e Democratici (o destra e sinistra se preferite) restano due formidabili contenitori vuoti, da riempire in base alle esigenze del momento e ai contraccolpi della situazione internazionale.
Trump ha fatto diventare repubblicane le parole d’ordine dei democratici (le maggiori tutele per lavoratori e pensionati, per esempio) e democratiche parole sostanzialmente patrimonio finora dei conservatori.
Con il risultato che nelle fabbriche in crisi della mitica Pennsylvania si è spesso ritrovato d’amore e d’accordo con l’ala più dura delle Unions.
E molti americani si trovano terribilmente spiazzati da questa strategia.
Alla fine per rimettere in ordine l’America, ci sarà bisogno di un “great reset”, perche’ questo atteggiamento così avverso al rischio non può durare per sempre, e uno choc nel giro di qualche anno, o decennio, servirà a ristabilire la tradizione.
Molti americani non credono più nell’ordine liberale globale.
Molti americani non credono più nell’ordine liberale globale.
Ma in termini di valori pratici, in giro per il mondo, questo americanissmo ordine liberale, si mostra molto ‘popular’. Guardate alla Cina o all’India e, per altri versi anche all’odiata Russia. La famosa rivoluzione liberale made in USA ha vinto su tutti gli altri possibili modelli presenti su scala mondiale.
Gli americani lavorano duro e assimilano immigrati molto bene. Sono eccellenti nel business, e hanno una mentalità molto concreta. E perlopiù sono tolleranti, anche se adesso ci viene da pensare che non lo siano più così tanto. Quindi, seppure sopite, nessuna di queste caratteristiche è scomparsa nel nulla. E’ per questo che alla fine the american dream tornerà.
Gianni Di Giovanni
* È una sintesi dell’intervento fatto da Gianni Di Giovanni nell’ambito delle iniziative previste da The Future. Next stop Parma. La previsione sul vincitore della prossima sfida presidenziale del 2020 è stata inserita nella sezione “Visioni”.
Gianni Di Giovanni è il rappresentante di ENI negli Sti Uniti d’America