Leggete Alberto Bevilacqua!

Alberto Bevilacqua è stato un amico importante, una figura di riferimento per quasi vent’anni e continua ad esserlo ancora oggi attraverso la sua opera. Nato a Parma il 27 giugno 1934, avrebbe compiuto oggi 87 anni. Da quando è morto a Roma il 9 settembre 2013 è calato un silenzio assordante sulla sua opera. Non è bastata la biografia di Alessandro Moscè Alberto Bevilacqua. Materna parola, Il Rio Edizioni 2020, a riaccendere l’attenzione verso questo scrittore che è stato uno dei protagonisti della seconda metà del Novecento nel giornalismo non solo culturale, nella letteratura e nel cinema. Ricordo solo che con il film La Califfa del 1970, Bevilacqua ha vinto un nastro d’argento come miglior regista esordiente nel 1971, andando al concorso per la Palma d’oro al festival di Cannes. Tratto dal suo primo romanzo di successo, ha un inizio fulminante, con la parola “slandra” per definire la protagonista che resta ancora oggi una frustata. Con protagonisti Romy Schneider e Ugo Tognazzi, ha la colonna sonora firmata da Ennio Morricone: il tema è tra le sue pagine musicali più belle. Per i premi letterari ha vinto il Campiello nel 1966 con Questa specie d’amore e nel 1968 lo Strega con L’occhio del gatto.
Il silenzio che viene dopo la morte di uno scrittore ha tanti significati, un silenzio di dimenticanza, ma quello peggiore è quello della rimozione, come se la sua figura a volte ingombrante, fosse stata volutamente messa da parte, perché la sua opera ci mette in discussione.
Non voglio fare panegirici e nemmeno raccontare la sua vita, voglio che Bevilacqua venga letto e riletto soprattutto da quella gente che ne parla male, lo giudica, lo rimuove senza aver mai aperto la pagina di un suo romanzo. Forse avrebbero molto da imparare. Oggi che si parla tanto di identità della città, di come vorremmo Parma fra dieci anni, c’è qualche politico o amministratore che ha letto, per esempio, Una città in amore o La festa parmigiana o un suo libro di poesie? Eppure in quelle pagine c’è tanta anima di Parma, c’è tutto ciò che serve per capire anche il nostro confuso presente.
Gli scrittori devono essere soprattutto letti dopo la loro scomparsa, perché è in quel momento che s’invera il loro destino. Sono i lettori “dopo” che inverano la lezione, ne allargano il significato, portando a compimento il loro destino. Bevilacqua è stato un maestro nell’arte del romanzo, quelli raccolti nella collana dei Meridiani a cura di Alberto Bertoni, sono un esempio della miglior narrativa del secondo novecento italiano. Un suo capolavoro resta Una scandalosa giovinezza, spesso dimenticato anche da chi conosce Bevilacqua. Bevilacqua per molti aspetti, non è solo uno scrittore da rileggere, è uno scrittore ancora tutto da scoprire.
C’è il poeta che andrebbe riletto con attenzione, perché Bevilacqua nasce poeta, ed è uno dei rari scrittori che scrivono in versi e in prosa sempre ad alto livello. Soprattutto nella maturità, aprendo il secolo e il nuovo millennio, Bevilacqua pubblica la sua poesia migliore, quella più innovativa: Piccole questioni di eternità, Torino, Einaudi, 2002; Legame di sangue, Milano, Mondadori, 2003; Tu che mi ascolti. Poesie alla madre, Torino, Einaudi, 2005; Le poesie, Milano, Oscar Mondadori, 2007; Duetto per voce sola. Versi dell’immedesimazione, Torino, Einaudi, 2008; La camera segreta, Torino, Einaudi, 2011. Il Bevilacqua poeta è quello meno conosciuto se non da amici poeti e da cultori che ne custodiscono il ricordo e soprattutto continuano a volergli bene.

Il viaggio della rosa

– quanto inutile mare.
Sarebbe bastato il viaggio della rosa
dal giardino al vaso: nati
recisi, quel po’ di vela nel sole
solamente decisi a sopravvivere

La bellezza non è del creato
ma di chi ne muta l’incanto

Gli anni non trascorsero per noi,
fummo noi i loro inverni e primavere
noi stratagemmi del loro terrore
di raggiungere infine l’infinito

Questa poesia di rara intensità è quella che ho letto la prima volta aprendo Piccole questioni di eternità, con quel distico che andrebbe portato a memoria: “La bellezza non è del creato/ ma di chi ne muta l’incanto”, a dimostrazione che lo scrittore o l’artista è colui che domina il mondo e lo trasforma, lo rimodella, mutandone lo stupore del primo incanto.
Le poesie non hanno bisogno di note, di spiegazioni, di apparati, raggiungono sempre il lettore nella loro segreta bellezza a volte indecifrabile. In questa raccolta di Bevilacqua c’è una lunga poesia dedicata a Parma, in dieci strofe variabili per lunghezza, che raccontano l’amore e l’incanto di una bellezza rimasta intatta.
Una di queste recita così:

II.

Parma,
desolata Pompei nel tuo silenzio,
assurda come un pilastro senza ponte
la luna disarma le vie

Parma, la sera
gonfia la gola
del passero. Ci vado
scoprendo
di me ogni cosa
da altri vissuta.
Tutto muta
per un niente di luce,
tutta mi conduce
a esistere
la mia vita persa

Parma paragonata a Pompei, a una città morta, silenziosa e desolata, dopo la crisi economica e i lunghi mesi della pandemia, prende un altro significato, un riverbero profetico tra passato e presente. Bevilacqua invita a specchiarsi nella propria città, a guardarsi in quello specchio per ritrovare un senso al proprio destino. Ma non è quello che stiamo facendo oggi, cercando un senso al nostro futuro? Un destino che non è del singolo ma della città intera? Ci si riempie la bocca della parola cultura, ma poi a questa parola non si danno mai contenuti. Bevilacqua, attraverso i suoi versi, indica la strada anche all’amministratore del bene pubblico, perché il bene pubblico ci riguarda da vicino, nel senso più intimo del termine. La sorte di una città, insegna Bevilacqua, è anche la sorte di ognuno di noi.
E poi l’amore, per la madre, per la città, per la pianura, il grande fiume Po e soprattutto per le donne che sapeva ascoltare e capire come pochi. Bevilacqua è stato un profondo conoscitore dell’anima delle donne. Donne volitive, forti, popolari, capaci di tenere testa agli uomini, donne che cantano alla finestra del quartiere, l’Oltretorrente, che ha cambiato volto e dna. Il poeta sa diventare interprete di questa doppia anima in cui si rispecchia e gli dona voce. Ecco allora che il duetto per voce sola diventa qualcosa di cantabile in versi, di viaggio verso l’amore dell’altro che diventa itaca, (senza la maiuscola perché in questo modo perde il senso della definizione geografica per una più metafisica), meta sognata e irraggiungibile, tra viaggio e malinconia.

Duetto per voce sola

sono un tuo soprapensiero
inseguendoti le ombre più lunghe
dei platani
col silenzio della pioggia che s’aggira,
il fischio lungo, modulato, prima di raggiungerti,
mia memoria reciproca, mia speculare
confidenza col tempo,
ci siamo sbagliati a disperare di noi,
siamo perfetti
nel duetto per voce sola,
mia itaca perenne di tutte le mie vite
deviate nell’equivoco

Questi sono tre esempi del Bevilacqua poeta, che scava nella propria anima senza remore o pregiudizi, alla ricerca di una verità esistenziale a volte, per molti, inconfessabile. Lo ricordo davanti a me, in preghiera, piegato sui banchi della chiesa di San Sepolcro, in via Repubblica, durante il rosario dedicato al ricordo della scomparsa della madre. Bevilacqua è uno scrittore sempre al limite tra il sacro e la carne, alla ricerca del senso profondo della vita e del suo mistero. Leggere le sue poesie è un modo per avvicinarlo in una maniera inusuale, anche rileggere i suoi racconti e raccoglierli in volume potrebbe rivelare sorprese. Il lavoro che ci resta per stargli vicino e salvaguardare la sua memoria è lungo ed è una strada non facile. Consegnare il testimone ai più giovani perché lo leggano è un nostro dovere.  

Guido Conti