L’incubo di via Dalmazia

“T-ranquilla signorina, via Dalmazia è un’ottima zona. Ci abita anche il sindaco!”
-“Ok, la prendo.”
Necessità, fiducia e diritto verso un incubo durato sei mesi.
Settembre 2016
Avevo bisogno di restare sei mesi a Parma, il tempo di sostenere l’ultimo esame, scrivere la tesi e laurearmi.
Cercavo una stanza ma a settembre nessuno, o quasi, è disposto ad affittarla: “minimo un anno”, ti dicono.
Un ragionamento accettabile considerato il periodo propizio, i tanti studenti, e le poche case decenti.
Partì da Napoli con mia madre, treno veloce e cinque valigie piene. Avevo bloccato una casa su internet.
Dalle foto sembrava carina, abitabile, luminosa. Dal vivo era un rudere di via Bixio, sporcizia ovunque, infissi rotti, bagno senza finestra e con ancora la puzza di chi l’aveva abitato.
Mia madre disse di no, lì non mi avrebbe lasciata.
“E ora che facciamo?”, domandai.
“Ci prendiamo un albergo e cerchiamo”.
Così facemmo. Tante chiamate, nessun appuntamento. Trovammo il volantino di un’agenzia immobiliare e telefonammo.
“Stanze niente, ma abbiamo un bilocale affittabile per sei mesi”.
“Ok, lo vogliamo vedere”.
“Domani alle 10:00 in via Dalmazia, va bene?”
“Perfetto, a domani”.

“Signora via Dalmazia è una zona tranquillissima, lo vede quel palazzo? Lì abita il sindaco”.

Il giorno seguente, all’appuntamento, una graziosa signora in bici ci accolse con un bel sorriso.
Ci indicò una palazzina di soli tre piani, il bilocale era al primo. Aveva una cucina con un piccolo salottino, una stanza da letto e un bagno. Un po’ vecchiotto ma non mancava niente, c’era anche la lavatrice.
“Chi abita gli altri due piani?”, chiese mia madre.
“Il secondo un ragazzo con la sua compagna, il terzo una coppia senza figli”, rispose la signora.
“E la zona com’è? Non siamo di Parma, la ragazza verrebbe a vivere da sola e vogliamo stare tranquilli”.
“Signora via Dalmazia è una zona tranquillissima, lo vede quel palazzo? Lì abita il sindaco”.
Mia madre si rivolse a me: “Luisa che vuoi fare?”
“Per me va bene”.
“Ok allora le faremo sapere, grazie per la disponibilità”.
In strada mamma mi rifece la stessa domanda, le ridiedi la stessa risposta e il giorno dopo quella casa era mia. Il tempo di sistemarmi e mia madre ritornò a Napoli.
Sola.
La prima notte trascorse tranquillamente, ero troppo stanca per attivare fantasie noir. La seconda notte la mia famiglia festeggiò la laurea di mio cugino e mi venne la malinconia. La terza notte pioveva, avevo freddo e paura. Chiamai la mia madrina di cresima e mi rasserenai.
Ci misi qualche giorno per abituarmi, ma mi abituai.
All’università conobbi una ragazza, mi chiese dove abitavo. Le risposi “in via Dalmazia”.
-“Mamma mia che brutta zona!” disse subito.
-“Come che brutta zona?”
-“Si quella è la zona dei trans e delle puttane”.
Risi pensando che si riferisse a qualche storiella personale, ma subito mi chiamò all’ordine.
“Davvero Luisa, lì le donne si prostituiscono in casa. Immagina a un certo orario non si può più neanche parcheggiare in zona, perché i posti liberi sono riservati ai clienti”.
“Ma che dici?!? Lì abita il sindaco”, ribattei io.
“Il sindaco si è limitato a chiudere quel palazzo che cade a pezzi, perché lì andavano i drogati a drogarsi, e le prostitute a prostituirsi”.
“Smettila mi stai mettendo paura, ci vivo da sola!”.
“Come da sola, non hai coinquiline?”
“No”.
“Ad ogni modo stai tranquilla, non fare tardi la notte e stai tranquilla”.
Rimasi tranquilla, ma intanto avevo deciso di aprire gli occhi per valutare un po’ la zona. Puttane non ne vedevo, tossici qualcuno, italiani pochi, il sindaco qualche volta.
I miei vicini di casa sembravano persone normali. I ragazzi del secondo piano trascorrevano il loro tempo a litigare e a fare l’amore. La coppia del terzo lavorava tutto il giorno, lei ritornava a casa alle 16:30, lui alle 18:00. La loro quotidianità, le loro voci mi tenevano compagnia. Ero serena al pensiero che, se qualche malintenzionato fosse entrato in casa, mi sarebbe bastato urlare per essere sentita e di conseguenza salvata.
Era un venerdì di fine ottobre, intorno alle ore 20:00 bussarono al citofono. Mi alzai di scatto, risposi.
-“Chi è?”
-“C’è la signora?”
-“Chi signora?”
-“La signora”.
-“No qui non abita nessuna signora”.
-“E dove abita?”
-“Non lo so, ha sbagliato citofono”.
-“Ok, grazie”.
Spostai un po’ la tenda della finestra e vidi un uomo sulla cinquantina, che si allontanava dal portone.
Un sabato di novembre stavo guardando “Arancia Meccanica” e suonarono di nuovo al citofono. Questa volta spostai la tenda della cucina prima di rispondere. Era la polizia. Mi paralizzai. Bussarono a tutti i citofoni, nessuno rispose. Ammanettarono un uomo, probabilmente di origini tunisine, lo fecero entrare in macchina e andarono via. Chiamai casa, mi tranquillizzarono, non ci pensai più.
Lunedì mattina andai in biblioteca. Ritornai a casa per pranzare, inserii la chiave nella serratura e la serratura mi restò in mano. Ancora panico. Non entrai. Salii al secondo piano, bussai ai ragazzi ma nessuno rispose. Salii dalla coppia senza figli. Mi aprì la signora e, con la serratura ancora in mano, le chiesi di venire a controllare cosa fosse successo. Scendemmo insieme ed entrammo in casa. Armadio spalancato, abiti a terra, cassetti aperti, il caos.
“I ladri”, disse la signora.
“Che devo fare?”, domandai.
“Chiamare i carabinieri”.
“Ok. Lei non ha sentito niente?”
“No, niente di niente”.
“Va bene grazie”.
“Risalgo sopra… ero a telefono con mia sorella”.
“Certo vada, grazie”.

io non farei mai vivere mia figlia qui da sola

Chiamai i carabinieri, entro mezz’ora sarebbero venuti. Uscì di casa, telefonai a mio padre. Mi fece compagnia mentre attendevo la volante. Arrivarono due agenti, li feci entrare in casa.
“Verso che ora è uscita?”
“Verso le nove”
“Quando è rientrata?”
“Verso le 12:30”
“Ha controllato cosa le hanno rubato?”
“Niente”
“Come niente?”
“Non mi hanno rubato niente”.
“Vive da sola?”
“Sì, sono una studentessa”
“E lei vive da sola in via Dalmazia?”
“Perché scusi? Ci abita anche il sindaco…”
“Il sindaco ha una casa blindata, non può fare questo paragone. Ad ogni modo via Dalmazia è tutto tranne che tranquilla. Anzi… io non farei mai vivere mia figlia qui da sola”.
“Bene, ora che devo fare?”
“Chiami il proprietario, lo avverta dell’accaduto e si faccia cambiare la serratura della porta. Ora prendiamo le sue generalità, scriviamo che siamo venuti a controllare, poi venga in questura per la denuncia ufficiale”.
“Ok”.
“Da dove proviene signorina?”
“Da Napoli”.
“Ladri che vanno a rubare in casa di napoletani…” disse divertito al collega che rispose con un sorriso.
Fecero quello che dovevano fare e se ne andarono.
Presi il mio zainetto, il mio computer e uscì da quella casa.
Per le scale incontrai la ragazza del secondo piano. Le raccontai l’accaduto: “Stamattina sono venuti i ladri, mi hanno scassinato la porta e messo a soqquadro casa. Non hanno rubato niente, perché non ho niente. Adesso avverto il proprietario perché con la porta rotta non posso restare in casa”.
“Smettila, mi stai mettendo paura”.
“Era per informarti.”
“Ok grazie. Fortuna che non eravamo in casa”.
“Eh sì…”
“Ciao”.
“Ciao”.
In un attimo si dissolse la sicurezza di poter essere salvata dai miei vicini.
Chiamai il proprietario ma era in vacanza. Chiamai l’agenzia e non sapeva come aiutarmi visto che il proprietario era in vacanza.
Ok, cosa fare, dove andare? Cercare un fabbro per la porta. Feci diverse chiamate e finalmente ne trovai uno disponibile.
“Signorina vengo stasera alle 18:30, ok?”
“Non può prima?”
“No”.
“Ok l’aspetto”.
Bene, in strada da sola fino alle 18:30, cosa fare? Mangiai un panino, andai in biblioteca, chiamai alcuni amici, trovai in Carmen e Debora la massima disponibilità.
Le ore passarono, ritornai vicino casa. Alle 18:30 il fabbro non arrivò, lo chiamai e mi disse di aspettare dieci minuti. Alle 19:15 era da me. Salimmo insieme.
“Abiti da sola?”
“Sì.”
“Ma lo sai che questa zona è un disastro?”
“Sì.”
“E sei venuta ad abitarci lo stesso?”
“Mi avevano garantito che fosse una buona zona…”
“Scommetto qualche agenzia…”
“Sì.”
“Quando ci sono soldi in gioco non ti devi fidare di nessuno. Cosa ti doveva dire? Che non era una zona tranquilla?”
“Si”
“Non funziona così. Ad ogni modo, io a mia figlia non la farei mai vivere qui”.
“Immagino”.
Riprese a lavorare. Poi si fermò: “Signorina non riesco a concludere questa sera, mi manca un pezzo.
Ritorno domattina”.
“E come faccio a dormire qui stanotte?”
“Non ci dormi”
“E dove vado?”
“Un albergo, un’amica, non lo so. Ma sicuramente non può dormire in una casa senza porta”.
“Domani mattina a che ora?”
“Intorno mezzogiorno”
“Ok, grazie mille”.
Erano quasi le 20:00. Chiamai Carmen, la mia famiglia a Parma che si era trasferita a Modena.
“Bambola, il signore non è riuscito a sistemarmi la porta…”
“Vieni da me”, disse subito.
“Ora vedo gli orari del treno”.
“Sì fammi sapere che vengo a prenderti in stazione”.
“Grazie Bambola”.
“Ma che scherzi? Vieni che ti aspetto”.
Andai da lei, dormimmo insieme, mi commossi della sua bontà. Tornò a Parma con me, mi fece compagnia in tutto il tram tram della denuncia, della porta, ecc.
Decisi di scendere qualche giorno a Napoli. Quando ritornai in via Dalmazia, iniziarono le citofonate nel cuore della notte.
Rispondevo, chiedevano della signora, ognuno la chiamava con un nome diverso. Smisi di rispondere ma non di temere il peggio.
Mia madre venne da me per quattro giorni. Anche quando c’era lei le citofonate continuarono. Si decise a chiamare il proprietario: “Salve, sono la madre di Luisa, l’inquilina del bilocale in via Dalmazia”.
“Salve signora, mi dica”.
“Voglio sapere chi abitava la casa prima di mia figlia, ci sono uomini che nel cuore della notte vengono a citofonare, chiedono della signora”.
“Beh signora non so che dirle”
“Chi era questa signora?”
“Era una signora tranquilla, non ha mai dato problemi, puntuale nei pagamenti. Questo so dirle”. 
Luisa Di Capua