Marabù perché non ci sei più?

Nostalgia, nostalgia canaglia

Sfrecciando sulla via Emilia tra Parma e Reggio, all’altezza di Cella, troviamo una vecchia struttura dai lineamenti arrotondati, un luogo mitico in cui hanno ballato migliaia di persone tra il 1977 e il 2000, è la discoteca Marabù.

Recentemente un imprenditore ha rilevato il locale e vorrebbe ristrutturarlo, riaprirlo, farlo splendere ancora. Succederà davvero? Ma soprattutto, l’iniziativa avrà successo? Le discoteche funzionano o sono relegate nell’era archeologica del divertimento? Perché se è vero che da un anno a questa parte la pandemia ha messo in ginocchio il settore, anche prima le sale da ballo non se la passavano benissimo.

Eppure negli anni della febbre del sabato sera il Marabù ha ospitato eventi prestigiosi, serate di varietà, concerti dal vivo con artisti come Vasco Rossi, Beppe Grillo e Grace Jones. Spettacolo e intrattenimento in tutte le forme possibili, e poi naturalmente il ballo, i DJs.

Chi ha frequentato il Marabù ricorderà l’arrivo nel parcheggio strapieno di macchine e pullman, Vespe, Ciao e Garelli. La sensazione di venire risucchiati dal suo tunnel a forma di LP per finire in un mondo parallelo, fatto di disco music a volume altissimo e luci colorate quanto improbabili cocktails (dagli esiti alcolici problematici); il potere ipnotico dello strobo, l’effetto teatrale delle lampade di Wood che rendevano fluorescente tutto ciò che era bianco.

All’interno si ruotava assieme ad una folla di ragazzi di tutte le età, in un vortice di sguardi, seduzioni, sorrisi e delusioni.

Sudore e sensualità sulla pista da ballo e poi le paillettes, le minigonne, le calze a rete, i capelli con la permanente e il ciuffo pieno di lacca; il trucco pesante, i guanti di pizzo come Madonna e le giacche con le spalle imbottite.

Le ragazze andavano sempre in bagno in gruppo, i ragazzi sorridevano appostati davanti ai bar e ai servizi quando le vedevano passare.

Gli abbracci pieni di passione sui divanetti, gli uomini che chiedevano il numero di telefono alle donne o scrivevano il loro sul braccio della fanciulla di cui si erano invaghiti.

A volte entravi con la speranza di rivedere il tipo o la tipa che ti piaceva e se accadeva dovevi solo aspettare il ballo della mattonella, lo spazio dedicato ai lenti: improvvisamente il DJ interrompeva la musica martellante e piazzava tre pezzi bacio-(quasi)-assicurato, uno dietro l’altro. Le ragazze aspettavano fiduciose a bordo pista che qualcuno le invitasse a ballare, i ragazzi si avvicinavano timorosi sperando di ottenere un “sì”.

Chissà quante persone si saranno incontrate e innamorate in questo modo?

Meglio del Gioco delle coppie, o quasi: mentre ballavi un brano strappalacrime avvinghiata ad uno sconosciuto (con la scioltezza di un iceberg), arrivava il momento più imbarazzante… il tipo che cercava di baciarti? No. Il pestone sulla scarpa di velluto nuova, inferto dal tuo cavaliere. Alla fine ti ritrovavi la sua pedata bianca sull’alluce o sul mignolo, mentre i tuoi piedi già gridavano vendetta dopo aver ballato per ore sui tacchi alti.

Come abbiamo già detto il Marabù si trova/trovava vicino al confine tra Parma e Reggio Emilia, molti clienti affezionati arrivavano proprio da queste due città e quando conoscevi una persona della provincia opposta, iniziava uno scambio di battute e stereotipi vari, dalla “testa quadra” in poi.

Certe notti facevi la “doppietta”: da uno dei locali parmigiani come il Taro-Taro (poi diventato Il Piacere), il Nabila o l’Astrolabio, decidevi di spostarti al Marabù e quando entravi poteva capitarti di incontrare un amico o un conoscente che avevi salutato un paio d’ore prima, e provavi una sensazione stranissima. I locali erano tanti e rivedersi casualmente due volte nella stessa sera, in due discoteche diverse, sembrava un evento da prima pagina sulla Gazzetta.

All’interno del Marabù i gruppetti di clienti abituali si piazzavano sempre negli stessi posti e serata dopo serata sembrava di conoscersi tutti, almeno di vista; avevi la sensazione di far parte di una tribù. Ad esempio, quando andavi a prendere da bere e non vedevi la solita gente appoggiata al bancone del bar o seduta sui divanetti lì accanto a chiacchierare, ti ritrovavi a pensare: “Ma stasera non verranno? Chissà come mai!”.

Anche le serate trascorse allo Starlight, versione estiva del Marabù, sono indimenticabili. Un giardino grandissimo, molto bello, in cui si arrivava dalla discoteca invernale attraverso un altro tunnel sospeso. Il rumore delle cascate nella zona piscine, lasciarsi cullare sui dondoli in una parte lontana dalla pista e dalla musica, in cui si poteva chiacchierare con un volume quasi umano, senza dover gridare nei timpani dell’interlocutore. L’estate sembrava non finire mai.

Quando uscivi dal Marabù le orecchie fischiavano per ore, avevi i vestiti e i capelli intrisi di fumo, ti mettevi alla ricerca di un bar per fare colazione con le prime luci dell’alba e avevi un sorriso stampato sulla faccia mentre ripercorrevi nella mente o con gli amici la serata appena trascorsa.

Chi ha vissuto quegli anni ha la sensazione di aver perso un punto di riferimento, questo era il Marabù. Ragazzi di mezza Italia si sono dati appuntamento lì, era un posto in cui ci si conosceva e ci si ritrovava. In cui potevi andare anche da solo, sicuro di incontrare qualcuno con cui parlare, ballare e bere qualcosa, senza appuntamenti, telefonate, accordi di nessun tipo, ti bastava andare lì.

Torneranno ancora quelle serate spericolate e spensierate al Marabù?  

Laura Chiari