
Mi chiamo Emma e mi piace andare sulle autoambulanze
Molti, tra studenti e lavoratori fuorisede, hanno deciso di fare ritorno a casa ancora prima del decreto che ha imposto il lockdown, a partire dallo scorso 8 marzo, così da non restare bloccati nella città “di adozione”. Ma non tutti. È il caso di Emma Cortesi, classe 2001, studentessa di scienze naturali presso l’Università degli studi di Parma, ma intenzionata ad entrare nella facoltà di medicina il prossimo anno. Emma non è rientrata a Bellusco, non lontano da Monza, dove ha sempre vissuto, o ad Aulla, in Toscana, dove si trova parte della sua famiglia e dove è nata una delle sue più grandi passioni. Proprio quest’ultima infatti, l’ha spinta a restare da sola in un appartamento, mentre il nostro Paese diventava un’unica grande zona rossa, lontana dai suoi cari. Il suo grande sogno è quello di diventare medico di ambulanza, fin da quando è salita sul mezzo due anni fa appassionandosi sempre di più, e nel momento del bisogno non ha esitato a dare il proprio contributo.
Emma, perché hai scelto di restare a Parma invece che tornare a casa dalla tua famiglia?
Ho deciso di fermarmi qui, nonostante fossi ancora in tempo per raggiungere casa, perché avevo la possibilità di fare la volontaria per l’Assistenza Pubblica di Parma, così da rendermi utile in questa situazione così complicata. Purtroppo i miei livelli di esperienza in Lombardia, dove c’è la mia famiglia, non sono validi e non avrei potuto svolgere questo servizio per la comunità.
Per quale motivo hai intrapreso l’esperienza da soccorritrice, e quando?
Ho capito che nella vita mi piacerebbe diventare medico del 118 e quello che attualmente faccio mi è sembrato un buon inizio, anche per capire se davvero fosse la realtà adatta a me e se fossi in grado di gestirla. In fondo si tratta di una prova per quello che potrei ritrovare in misura maggiore e con più responsabilità da medico. Così nel 2018 mi sono unita all’Assistenza Pubblica di Aulla, in provincia di Massa e Carrara, dove abita mia nonna e ci passo perciò molto tempo durante l’anno, mentre a gennaio ho proseguito sempre nell’Assistenza Pubblica, a Parma, dove ho cominciato i miei studi universitari.
Come sono cambiati i tuoi turni in ambulanza da prima a durante l’emergenza sanitaria?
Per prima cosa, abbiamo dovuto imparare nel giro di una settimana a gestire il mezzo con le giuste misure per il Covid. La cosa che più si è notata, è stata poi una notevole diminuzione delle chiamate, dalle circa sette o otto per turno tra ordinarie, ad esempio trasporto per i pazienti con necessità di dialisi, ed urgenze che eravamo abituati a gestire solitamente. Il numero delle uscite si è ridotto perché molte visite secondarie sono state annullate e le persone, spaventate, spesso rinunciavano a chiamare il 118 se non in caso di estrema urgenza.
Ti è capitato di essere coinvolta in prima persona per il soccorso di un paziente Covid?
Sì, ma soltanto per quanto riguarda pazienti da dimettere o trasferimenti ospedalieri, ad esempio dall’ospedale di Parma a quello di Fidenza o altri in zona, mai per urgenze.
Come trascorrevi le tue giornate durante il lockdown?
Quando sono in servizio alla ‘Pubblica riempio già mezza giornata, dalle 7 alle 13. Per il resto ho studiato, letto moltissimo, ho iniziato ad imparare il giapponese e visto diversi film, tutte cose che prima non avevo tempo di fare.
C’è un episodio in particolare di cui non ti dimenticherai, relativo al periodo appena trascorso?
Sì. Mi resterà impresso il momento in cui, durante la chiamata per un’emergenza, io e i miei colleghi siamo dovuti passare davanti al Pronto Soccorso di Parma, che nel frattempo era stato convertito in Area Covid. Dal di fuori si poteva vedere una fila interminabile di letti, medici e infermieri bardati da testa a piedi, mi immagino che una scena di guerra possa avvicinarsi a questo… In più anche per entrare nell’area adibita a Pronto Soccorso normale i miei colleghi dovevano indossare tutta l’attrezzatura necessaria e, soprattutto all’inizio, non essendo abituati a fine turno erano sempre distrutti.
Cosa ti ha lasciato l’esperienza di lavoro in quelle circostanze?
Sicuramente ho provato cosa vuol dire dover affrontare situazioni complicate. Innanzitutto a livello umano, ricordo ad esempio gli anziani che abbiamo accompagnato in ambulanza. Erano preoccupatissimi e facevano affidamento su di noi anche solo per chiacchierare durante i quindici minuti del trasporto dopo essere stati chiusi in casa per giorni, e siamo spesso stati motivo di sollievo per loro. Ma anche a livello sanitario, a partire dal rispetto di tutte le precauzioni necessarie e l’utilizzo dei dispositivi di protezione, c’è un grande lavoro dietro.
Cosa hai fatto appena terminato il lockdown?
La prima cosa che ho fatto è stata tornare a casa dalla mia famiglia, a Bellusco. Ma dopo un paio di settimane ho deciso di ritornare a Parma per proseguire con il volontariato, che sto tutt’ora svolgendo almeno due volte a settimana, e da poco ho iniziato anche con i turni di notte.
Hai mai avuto paura?
In realtà no, non personalmente diciamo. Mi spaventava quello che potesse essere un eventuale contagio per mia nonna o per i miei parenti anziani, ma per il resto, i due anni passati come soccorritrice mi hanno un po’ preparato, ne ho viste già di tutti i colori.
Com’è la situazione a Parma in questo momento?
Va decisamente meglio! Il Pronto Soccorso Covid ha chiuso, mentre ha riaperto quello regolare. In più abbiamo ripreso con le visite normali e i relativi accompagnamenti dei pazienti in ambulanza.
C’è qualcosa che vorresti aggiungere?
L’unico messaggio che mi sento di lasciare è, fate volontariato! Che sia portare un pasto ad un senzatetto o accompagnare un anziano a fare la dialisi. Anche una volta alla settimana, una volta al mese. Ma in situazioni di bisogno come quella che abbiamo passato e ancora stiamo vivendo è fondamentale. Nel mio caso si è trattato di un aiuto economico, perché le Assistenze pubbliche si sono trovate in difficoltà, ma soprattutto umano.
Chiara Verra