Molossi, il rivoluzionario (bozza)

È stato per 35 anni il più grande ufficio stampa della cultura cittadina, ma di lui non c’è traccia nella Capitale della cultura . È morto una generazione fa, il 3 ottobre 2003. Non gli hanno dato una laurea honoris causa e lo hanno definito fascista anche se non lo era. Ricordo dell’uomo che, comunque, ha sbattuto in prima pagina uno dei proprietari della “Gazzetta” in manette.

Era talmente liberale che accettava gli dicessero una cosa non vera: “Sei fascista”.
Per quella infondata – e diffusa – convinzione non solo il suo cognome venne scritto, come un’offesa e come bersaglio di minacce, per anni su quasi tutti i muri della città, ma addirittura si beccò anche uno schiaffo pubblico dal prof. Taverna.

Era di destra, ma non era assolutamente fascista. Anzi in un momento in cui tutti si ammassavano nei partiti e nei movimenti politici estremi, lui se ne stava nell”angolino – lui e Malagodi al massimo….- in una sorta di immaginario ed esclusivo partito d’azione, un microbo club del torto.

Lo accusavano di fare il giornale dei padroni, ma quando gli capitò l’occasione fece una cosa che nessuno( né prima nè dopo ) in Europa aveva fatto, nemmeno i giornali più rivoluzionari: mise in prima pagina la foto con le manette di uno dei proprietari del giornale, il costruttore Ermes Foglia arrestato per lo scandalo urbanistico nel marzo 1976.
Sembrano due braccialetti ” spiegò in maniera surreale ai proprietari del giornale, accorsi furibondi in redazione e assai inclini alla censura.
E allora, sì, che c’erano veramente i poteri forti.
Nonostante questo, so che quando mi inglobò nella redazione – da abusivo – assieme ad altri giovani come Luigi Zanichelli e Carlo Gardani ci disse una cosa sola: “Lavorate sodo e guardate la città con i vostri occhi, non con i miei. Raccontatela e createvi il vostro pubblico che vi seguirà negli anni”.
Eppoi mi consigliò di fare con metodicità un giro tra i grandi strajè parmigiani Attilio Bertolucci, Malerba, Zavattini eccetera e trovare un tema comune parmigiano che potesse interessare.

Lo presi in parola.
Ogni settimana inoltre sfoderavo anche paginate di interviste in terza pagina a Dario Fo, Franco Parenti, Guccini, Carmelo Bene e altri…. comunisti.
Ogni settimana mi diceva che qualcuno della proprietà aveva chiesto il mio licenziamento anche se non ero ancora stato assunto ( cosa che avvenne nel 1974, avevo 21 anni ero uno dei giornalisti più giovani d’Italia e due anni dopo all’esame scritto per diventare professionista, mi trovai, meramente per ragioni alfabetiche, un metro a fianco di Natalia Ginzburg e settanta centimetri dietro Giorgio Manganelli).
Da subito Molossi mi indirizzò sulla parte culturale, prima il teatro quando se ne andò a Milano per fare l’attore al Piccolo Teatro con Strehler e poi il caporedattore di Vogue, Pierparide Tedeschi.
Stessa solfa, apriti cielo dalla proprietà quando agli inizi degli anni Ottanta proposi a “Sarre” di fare una inchiesta non faziosa sul Pci, una decina di puntate. Approvò, lesse tutto e non ci fu alcun intevento censorio da parte sua. Fu un piccolo terremoto diviso equamente nel picco dei sismografi politici tra imprenditori cittadini e iscritti parmigiani al Pci.
Lui con grande ironia, con alterità, rispondeva a chi voleva licenziarmi – ancora – per quegli articoli considerati comunisti : “Mah, io l’ho letto e l’ho passato, si fa leggere fino in fondo. E questo è quel che conta”.
Per la cronaca ricordo che la “reazionaria” Gazzetta di Parma del “fascista” Molossi ha sostenuto per anni anche con una pagina al giorno, la nascita del Teatro Due, la casa del Collettivo.

Molossi, la leggenda, aveva stile da vendere e una certa alterità.
Anche sotto scorta – per via delle minacce negli anni di piombo – non rinunciava quasi ogni giorno ad andare a vedere un film . Era la sua ginnastica mentale, quotidiana, verso le 17 ( allora non c’erano le interminabili riunioni di redazione…) staccava e se ne andava a vedere un film, si favoleggiava delle due ore di noia per gli agenti di Ps che lo seguivano obbligati ad andare a quei film deserti, ostici, d’essai
Il cinema era il suo grande, vero, amore interrotto da una direzione che lo aveva portato ai vertici nazionali pur stando in una periferia come Parma.

La retorica su Parma, la “petitecapitalite”, è iniziata con il suo regno – destra o sinistra oggi siam tutti suoi nipotini – durato 35 anni.
Molossi diventa direttore nel 1957: non a caso, tanto per fare solo un esempio, il volume di fotografie di Carlo Bavagnoli “Cara Parma” (voluto e pagato da Pietro Barilla) altro pilastro della vera o presunta diversità del nostro ex ducato è del 1961.
Ogni giorno per quel tempo lunghissimo (un primato battuto solo da monsignor Spada, eterno direttore dell’Eco di Bergamo), Sarre ha promosso articoli, incontri, conferenze, post si direbbe oggi, in Italia e all’estero per esaltare il campanile Parma.
È stato l’…eroe ( unico) dei due Raccoglitori: quello mitico dal 1951 al 1959 e quello da lui rifondato nel 1983. Ha fatto più lui per la diffusione della Cultura a Parma che diecimila festival, ma non c’è traccia di lui nelle celebrazioni della Capitale 2020+21.
Molossi non ha prodotto solo articoli ma ha forgiato generazioni di giornalisti. Ben 4 suoi poulains, pulcini, allievi,erano in contemporanea direttori di testate quotidiane o settimanali, cosa che non potevano vantare nemmeno giornali nazionali (Bruno Rossi, dall’1 gennaio 1993 a guida della Gazzetta di Parma, Redento Mori ai vertici del settimanale Il mondo, Maurizio Cavatorta alla guida di un settimanale Tv edito da Mondadori, Antonio Mascolo, direttore Gazzetta di Modena, gruppo Repubblica).
Giorgio Fattori della Rizzoli un giorno scrisse “fare giornali non è un problema, basta andare alla Gazzetta di Parma e riempire di giornalisti una corriera…”.
Il cielo letterario del giornalismo parmigiano- attenzione Peeerma in queste cose ha un nume tutelare inarrivabile, ed evidentemente di buono auspicio, dal nome Salimbene de Adam – era già illuminato da alcune comete Pietrino Bianchi, Egisto Corradi, Guareschi, Barilli, Zavattini quando il direttore Molossi scoprì e assunse ”il trio degli angeli della faccia sporca”. GiuseppebarigaBarigazziMauriziocimicinoChierici e BrunobrunènRossi.
Personaggi curiosi ed esplosivi . Tre fuoriclasse.
Per me il più bravo era assolutamente “Bariga” intriso di lirica cocciutaggine cultura, la scrittura migliore l’aveva Rossi che faceva viaggiare anche quando stava fermo, ma la curiosità e la capacità di navigare nei mari in tempesta, in storie anche complesse – o doppie (il terrorismo) quasi cinematografiche è stata leggenda di “cimicino” (era dappertutto) Chierici.
Molossi sapeva decisamente scegliere. Ricordo il poker di critici che aveva creato in Gazzetta all’alba degli anni Settanta: Gian Paolo Minardi lirica, Giuseppe Marchetti letteratura, Paolo Pedretti cinema, Gianni Cavazzini arte. C’era da tremare a fare anche solo il vice del teatro e poi diventarne titolare.
Molossi sapeva fare squadra. La scelta di Aldo Curti, il burbero buono, il caporedattore che tutti i giornali avrebbero voluto avere, la vita trascorsa in redazione. Con lui non c’erano nè se e nè ma. Si faceva, e così, senza troppo discutere, Molossi gli affidava tutti i lavori “sporchi”, le grane.
Poi, in ogni reparto personaggi leggendari che hanno allevato o incrociato altre generazioni.
Come NuccioAmmiraglioAcquarone che comandava il mare troppo vasto degli Interni ed Esteri ed ogni giorno neve-pioggia-o-tempesta faceva sognare i lettori con una immagine in costume da bagno di sconosciute in Australia o giù di lì.
NinniTemperanzaCavalli capo cronista che con la pazienza di Giobbe ogni sera riusciva a confezionare al meglio le storie di una città che procedevano strampalate quasi quanto alcuni suoi cronisti o aspiranti tali.
LinoCincinnatoTonarelli contadino e montanaro che arava con quello che aveva il prezioso e vasto territorio della provincia .
AttilioCarburoFregoso carattere difficilissimo esplosivo ; ma un amore senza fine per lo sport e per una certa autonomia. Scontri quotidiani e soprattutto domenicali assicurati
TizianoSfingeMarcheselli sapeva essere metafisico… per giorni e giorni nei quali a volte nemmeno lo vedevi. Pittore, curiosissimo e anche se non lo dimostrava, riusciva nonostante il suo proverbiale silenzio e un che di apparente fastidio, a confezionare mirabili pagine di spettacoli e cultura.
Eppoi Molossi aveva una passione, un amore sviscerato per i giornalisti strabravi, quelli … poeti, con una marcia in più.
E qui non si possono tralasciare i nomi di Corrado Corti in arte Cid, ironico portatore sano di vetriolo nella scrittura e inventore della “Finestra sulla città”; Paolo Pedretti che ha reso grande non solo la rubrica “Lassu in loggione”o la critica cinematografica, ma che da vero “re Mida “ della redazione trasformava in oro ogni suo articolo e quelli che correggeva ai collaboratori o colleghi .
In questo angolo speciale, un posto per un giornalista che non ha mai scritto una riga ma che ha dispensato tanto sapere e tanti sani dubbi – e Molossi lo sapeva, eccome – si chiamava Paolo Bongrani, era stato assistente universitario di Galvano Della Volpe.
Il direttore Molossi aveva un orologio particolare, di nome Bruno Castelli, umano e preciso come pochi . Uno stenografo sopraffino che divenne segretario, uomo di fiducia della redazione e che ha creato quell’altro gentiluomo di nome Fausto Paglia. Castelli credo che abbia fallito una volta sola nella vita, quando ha tentato per mesi o forse anni di insegnarmi a scrivere a macchina con dieci dita. Ancora oggi questo mio omaggio a lui è fatto con due polpastrelli.
Molossi amava i giovanissimi e aveva deferenza per gli anziani. Come spiegare altrimenti quando mandò a Praga – battezzandolo per sempre cronista con la C maiuscola – per l’invasione russa lo studente Gian Franco Bellè o quando intuì la scrittura sublime e indolente di un giovane medico, Paolo Pernigotti.
Con le persone più anziane aveva un rapporto di gentilezza, dolce ma ferma, che sembrava uscita dal “Deserto dei Tartari” di Buzzati . Penso a come il suo rispettosissimo “Lei” si confrontava con Guido Milan o Bruno Salati due collaboratori istituzione del giornale, se non erro, uno ex ferroviere e uno ex maestro. Era tutto un fiorettare di cortesie e rispetto, di segnali e codici, con quelli che magari la gerarchia bieca considerava le ultime ruote del carro ma che invece erano uno dei tesori più preziosi della Gazzetta.

Molossi è stato l’Università del giornalismo ha allevato e “laureato”o anche solo contaminato decine e decine di giornalisti che è qui impossibile riassumere od elencare (e qui un suo grande limite e soprattutto del tempo che abitava: ha assunto, se non ricordo male, in 35 anni solamente tre donne giornaliste).
E l’Ateneo che da anni ospita, sulla sua scia, numerosi corsi in giornalismo, non ha mai trovato il tempo – in 35 anni di direzione – di riconoscerli una laurea honoris causa.
Già, Molossi era di quella pattuglia di grandi giornalisti non laureati e qui citiamo tra i tanti assieme a lui Bernardo Valli, Ettore Mo, Alberto Moravia.
Non troppo mondano, sì qualche cena al Rotary ma non amava di certo le affollate manifestazioni ufficiali….
C’è un particolare nel filmato di Tv Parma di quando riceve in Municipio il Premio Sant’Ilario.
Elegantissimo, doppio petto attillatissimo, la sua proverbiale alterità lo porta a mettere le mani nelle due tasche della giacca, una frazione di secondo, pensa che quel gesto possa suonare mancanza di rispetto e allora le due mani si improvvisano ferro da stiro, le strofina sulla giacca come a dare piega perfetta al suo rispetto per quel Premio.
Molossi aveva una calligrafia bellissima, larga, chiara, leggibile da chiunque ed era un altro segno di eleganza e rispetto per il prossimo. Non solo formale.
Come quando a metà degli anni Settanta una mattina cacciò dalla redazione della Gazzetta di via Casa me e Luigi Zanichelli perchè ci eravamo presentati in jeans e maglietta al lavoro: “Dove pensate di andare vestititi così da aborigeni? Filate subito a casa e quando tornerete con giacca e cravatta vi spiegherò il motivo di questa cacciata”.
Quando tornammo, azzimati, ci disse poche parole “Ricordatevi sempre che voi rappresentate la Gazzetta e non voi stessi. E quindi dovete essere in ordine ed eleganti. Inoltre in giacca e cravatta sempre, perchè da un incidente stradale potreste essere scaraventati ad una prima del Regio e non avrete certo il tempo di cambiarvi”.
Molossi sapeva essere tagliente come la sua scrittura. Alcune sue frasi sono rimaste vive e vegete nel giornalismo .
Noto?Noto a chi?” .
Scrivere è semplice, basta farsi capire dall’ortolano senza fare arrossire il docente universitario” “l’apparenza inganna, come nei tortelli ; l’esterno può essere uguale ma il ripieno totalmente diverso”.
“Moloc” era tante cose, anche la dolce sfida. A tarda sera passava nella redazione mezza vuota e diceva a voce alta “Io domani vado a ( Parigi Strasburgo, Lione, Londra ecce,,), ci fossero giornalisti curiosi disposti a venire coi mezzi propri a raccontare…
Con Giovanni Ferraguti dicevamo sempre sì ed erano corse divertentissime in auto per raggiungere il Direttore che viaggiava in aereo per manifestazioni di “Parma alimentare”(animato del suo amico Giorgio Bernardini in arte Renèe Duval) od altro. E così ci siamo girati mezza Europa con vitto alloggio e spese rimborsate.
Il Capitan Achab, la leggenda, ha anticipato di mezzo secolo l’interesse per la gastronomia che oggi inflaziona internet tv e giornali.
Lui sulle orme o spesso avanti a Mario Soldati, andava alla scoperta del desco e del territorio. Le sue ricompense professionali, le sue certificazioni, erano quasi sempre a tavola. Inviti ristrettissimi dei quali andavi orgoglioso come medaglie o come una statuetta da Oscar : a Sacca da Angelo Morini, o al Cavallino Bianco della famiglia Spigaroli o da Cantarelli o in maniera più spiccia dall’Anna del Molinetto. Lì, mangiavi, ascoltavi e imparavi
Il Re Magio del giornalismo di città – che da solo, qui, ha portato oro, incenso e mirra – sapeva essere anche tenero, si preoccupava per noi.
Era una serata che nevicava a mo’ di tormenta come nelle fiabe, l’autostrada era chiusa e giunse la notizia che alcuni parmigiani potevano essere deceduti in un incidente alpinistico. Con Giovanni Ferraguti eravamo pronti a partire. Molossi per alcuni minuti, con nostra grande sorpresa, si arrampicò sugli specchi, addirittura ci domandò se avevamo la patente, poi disse che con l’autostrada chiusa era impossibile, poi che era pericoloso.
Sta di fatto che alla fine una pattuglia della Stradale di Parma ci scortò fino alla Cisa e da lì fummo accompagnati dalla Stradale della Toscana. Riuscimmo dal luogo della tragedia a dare poche righe a tardissima ora e Aldo Curti, mitico caporedattore, le sparò in nero in esclusiva in prima pagina.
Molossi, padre in ansia. Non sono state poche le sere nelle quali con candore e rispetto professionale chiedeva di fare una telefonata. La figlia, l’adorata Ilaria, si allontanava col cane. Ore di preoccupazione per quello che era il sovrano indiscusso della redazione. Con discrezione sentivamo da questura o carabinieri, placavamo l’ansia e alla fine vedevamo tornare il sorriso negli occhi del capo.
Ilaria ritornata a casa, dalla madre Camilla che è stata la vera grande direttrice di orchestra della famiglia, con Baldassarre così esposto ed impegnato e gli altri tre figli che cercavano di trovare tumultuosamente la loro strada (Giuliano è giunto anche lui alla direzione del giornale che era stato della famiglia, Filiberto,- pubblicamente ritenuto, in tempi non sospetti dal padre, il più bravo come scrittura – è un grande critico cinematografico e cronista, Lorenzo fa il regista)
Molossi,vero fuoriclasse.
Predestinato, coi compagni di classe che si ritrovò al Romagnosi: Malerba, Goldoni, Torelli, Madeo
Precoce e longevo (nel giornale che era di proprietà di suo nonno e suo bisnonno, lui entrò nel 1950 come semplice cronista, 7 anni dopo, a 29, era direttore e “riconquistò” quel quotidiano sul campo portandolo da 10 mila a 60 mila copie) non era invidioso, anzi riconosceva sempre il giusto merito agli altri.
Ecco cosa ho ritrovato e che mi riguarda nell’unico libro su di lui (“Intervista a Molossi III” di Sergio Congia, Gasperini editore, Cagliari settembre 1992, che andrebbe ristampato) a proposito dell’efficace titolo sulla edizione straordinaria pomeridiana “L’Italia si ferma ma non si arrende” per l’omicidio Moro “.
Su quel titolo mi espresse per primo con vivo affetto, il suo compiacimento, il giovane collega Antonio Mascolo, ora direttore alla Gazzetta di Modena, una cosa che capita di rado tra giornalisti, di solito usi a scambiarsi più graffi che carezze”.
Aggiungo che in quell’anno ero nel Comitato di redazione, il sindacato dei giornalisti, e in un momento di rapporti assai complicati con la direzione e la proprietà per via delle innovazioni tecnologiche.
Molossi e Curti,per dare l’idea delle cosiddette relazioni sindacali, riuscivano ad uscire con la Gazzetta a 4 o 8 fogli anche durante gli scioperi attuati dai giornalisti. Un crumiraggio che faceva davvero imbestialire.
Anche quando scriveva fuori dal giornale, Molossi sapeva essere unico. I suoi “Dizionario dei parmigiani grandi e piccini”, “Breve storia del giornalismo”, “La grande cucina di Parma” ma soprattutto “Parma Kaputt“ e “Parma anno zero“ (realizzati questi ultimi due, conAldo Curti) sono modelli inarrivabili anche se imitatissimi di libri cittadini.
Molossi era la prevalenza della Provincia, in questo sì era affine ai francesi. Non sentiva il richiamo del centro delle metropoli. Era il primo e venerato a Parma, era l’eccellenza e per questo era un pari coi grandi del giornalismo nazionale. Lo stimavano davvero tutti da Fortebraccio a Prezzolini. Lo chiamavano tutti, gli chiedevano consigli, gli davano anticipazioni da Montanelli a Biagi a Ottone .
E quasi ogni mese, infondata, circolava la voce che Molossi se ne sarebbe andato, a Bologna o a Milano, a dirigere qualcosa di più grande. Ma lui restava e restando era ancora più forte, più leggendario, unico, il piccolo più difficile da imitare e scalfire del grande.
Quando verso la fine del fine 1988, dopo 16 anni di lavoro sotto la sua ombra protettrice, andai nel suo ufficio a comunicargli un tormento, una intenzione, quella di essere stato chiamato a dirigere la “Gazzetta di Modena”, lui mi disse, spiazzandomi “Lo so, sono mesi che ne parlo con Piero Ottone, riteniamo tu sia la persona giusta”.
Rimasi a bocca aperta, incredulo del fatto che sapesse tutto sin dall’inizio.
Avevo la mano sulla maniglia dell’uscita quando aggiunse. “E ti ricordo che tra direttori ci si da del tu
Non riuscii a blaterare altro che “.…La ringrazio”.
Due mesi dopo ero già a Modena, a faticare a tentare di fare il direttore, Molossi a sorpresa mi invitò a cena dal suo amico Giorgio Fini.
Fu una cena un poco edipica, commovente. “Sai ti ho invitato per darci del tu” mi disse con quel garbo che pareva scrittura.
NH Molossi era un Nobil Uomo amato più dalla plebe che dai nobili, penso per la sua schiettezza nello scrivere, nello schierarsi, Oh certo i militanti dell’allora Pci si imbestialivano per le sua Coda del Diavolo, ma era assai frequente gli stringessero la mano pubblicamente, si vantavano di conoscerlo personalmente.
Un particolare che solo quella istituzione “fermaimmagine”che è Giovanni Ferraguti sa, ricorda e racconta . A fianco delle raccolte fondi per il terremoto del Friuli, per Senerchia e altre sciagure, il “reazionario” Molossi – ed era l’alba degli anni Ottanta – autorizzò una raccolta fondi per una persona abitante in via Dalmazia che voleva andare a farsi operare a Casablanca per cambiare sesso. Mobilitò i parmigiani per questa nobile causa: andò tutto bene.

Non ho mai saputo con certezza se fosse nella massoneria, cosa che è stata verificata per altri parmigiani. So che ora divide a mezzadria una via con Lorenzo in zona Lubiana.
Per quel che mi riguarda, è stato come un padre, ovvio che questo ritratto sia fazioso, faziosissimo, ma credo anche onesto.
Ha regalato una età dell’oro penso irripetibile e inimitabile per il giornalismo e i giornalisti e la città. Ha creato per chi lavorava con lui la illusione di un ambiente protetto, unico, esclusivo, invidiato.
Baldassarre Molossi ? Una solitudine che ha regalato tante moltitudini ( e questa definizione si addice – per me – a pochissime persone, forsanche lontanissime da lui, come Gigi Dall’Aglio ed Ettore Guatelli)
Sarre è morto una generazione fa, 18 anni, 3 ottobre 2003.
Certo, aveva anche dei difetti: ci faceva scrivere Nuova York al posto di New York. 

Antonio Mascolo

 

Fotografia di Giovanni Ferraguti dal volume “Parma scatti di cronaca” Mup 2008