
Tengo bar e ristorante a Parma.
Ma devo cambiare tutto se voglio continuare
“Il coronavirus non cambierà nulla”. Scrive Ben Gummer ex ministro della sanità inglese e storico delle pandemie (https://unherd.com/2020/03/coronavirus-will-change-nothing/). È accaduto con la peste nera del Medioevo e la Spagnola negli anni Venti del secolo scorso, con la febbre di Hong Kong, l’asiatica, del 1969 e la Sars del 2003: ogni epidemia nell’immediato ha cambiato quasi niente. Ma poco dopo e rapidamente quasi tutto. Agendo come acceleratore e detonatore di processi di cambiamento già in corso.
In questo senso la società di Parma deve guardare al post Covid 19 come a una grande, ancorché distruttiva, occasione di rinnovamento. Che si pone ora, un po’ drammaticamente, ma che si sarebbe comunque posta nei prossimi anni. Obbligando ognuno di noi a fare adesso quel non possiamo più rimandare a tempi migliori. Anche perché di fronte abbiamo i peggiori.
Resistere ma attivamente
Resilienza è il termine, sin qui ripetuto spesso a pappagallo, che ora sollecita un diverso modello di sviluppo. A resistere, ma attivamente. A mobilitarci, come auspica il manifesto dei 110, fra i quali figurano numerose imprese e imprenditori di Parma (Mutti e Davines fra gli altri), reso pubblico nei giorni scorsi. A cambiare paradigma economico. A immaginare la città che vorremmo e che personalmente auspico: con i piedi piantati nella migliore tradizione, ma le mani e la testa proiettate nel futuro, e da subito impegnata a fare i conti con la realtà.
Le seguenti riflessioni sono circoscritte a ristoranti e bar soprattutto, attività chiave del settore turistico, ma essenziali per la vita associata. Pubblici esercizi che risultano fra i più colpiti dalla pandemia e fra i meno favoriti dalla ripresa. Per le necessità di distanziamento sociale, ma anche perché è molto probabile che una volta riaperti non troveranno masse ansiose di tornare a frequentare bar, caffè e ristoranti. Anzi. Credo che al momento, vuoi per le abitudini domestiche piacevolmente riscoperte, vuoi ancor più per la paura del contagio, la smania di colazioni o cene in locali affollati non la si sente. Forse questo sentimento sarà superato una volta che l’epidemia si sarà placata o molto attenuata. Ma in prospettiva conviene fare tesoro di quel che ci stanno insegnando e indicando questi 2 mesi e mezzo di lockdown (https://www.bargiornale.it/gestione/quando-il-cliente-non-e-al-bar-il-barista).
una minimissima parte di bar&ristoranti ha un a sito abilitato all’e-commerce e una gestione professionale dei canali social
Anzitutto che una minimissima parte di bar&ristoranti ha un a sito abilitato all’e-commerce e una gestione professionale dei canali social. Per dirla bene: non stanno dentro l’eco-sistema digitale nel quale orami viviamo stabilmente. Non erano e non sono attrezzati per fare bene quello che hanno cominciato a fare in questo periodo: consegnare cibo a domicilio. Hanno usato la pagina Facebook e WhatsApp, ma quasi nessuno ha un sito, una bella vetrina virtuale con foto del menu, dei piatti e relativi costi, pagabili direttamente con carta di credito. Questo credo sia un passaggio obbligato e da fare entro l’anno, meglio ancora subito (https://www.bargiornale.it/featured/dieci-parole-per-aiutarci-a-ripartire/).
Insomma quel che sembrava prerogativa esclusiva del delivery food di medio-bassa qualità, cioè portare cibo a domicilio, ha cominciato a essere praticato anche da alcuni “grandi nomi” come Pepen e Cocchi. E qui sbaglierebbe chi pensasse a un’iniziativa contingente, a termine. Perché se guardiamo ad altre tendenze in atto, come home restaurant e passioni masterchef da esibire con gli amici in ambito domestico, è ragionevole pensare e prevedere che la tradizionale separazione fra casa-fuori casa varrà sempre meno. Nel senso che un gruppo d’amici potrà trovarsi a casa di uno di loro, magari a rotazione, e ordinare la cena dal ristorante oppure chiedere allo chef di quel ristorante di venire a cucinare sul posto. Con altre modalità una persona, una famiglia, o il solito gruppo di amici potrà scegliere sul posto cosa farsi spedire a casa o al contrario prenotare da casa il menù che si andrà a consumare fuori. In altre parole il ristorante/trattoria/caffè dovrà essere allineato nella doppia versione on-off line, essere cioè un locale aperto sulla strada, ma anche aperto sul web.
Ciò comporta altre significative trasformazioni, anche sulle tipologie fisiche di locale pubblico e sull’insieme della struttura commerciale urbana. Due soli esempi. Nel primo caso è probabile che le misure di distanziamento e di riduzione dei contatti fisici, anche con le cose, contactless, un po’ resteranno. Dunque porte a scorrimento, automatiche, e locali piccoli e raccolti a forte rischio. Una qualità, il carattere intimo, diventerà un disvalore. Ma i locali grandi hanno grosse spese di affitto e gestione, dunque anche il modello familiare potrebbe lasciare il passo a società più grandi, anche cooperative, magari formate dai 3/5 10 piccoli proprietari di bar e ristoranti che si associeranno.
E questo potrebbe anche tradursi nell’occupazione di grandi spazi del centro storico che sono o stanno per essere abbandonati dalle banche. Ciò per dire che queste trasformazioni commerciali potrebbero avere conseguenze sulla struttura e organizzazione urbana. Così come in questi anni bed&breakfast e AirBnb hanno cambiato il mercato dell’abitazione e dell’affitto.
Ma questo è un altro tema. Ci porterebbe lontano. Mi limiterò solo a segnalare come lo smart working, che proseguirà e aumenterà allineandosi ai valori europei, invertirà una tendenza ultratrentennale. Ovvero la riduzione e frazionamento degli appartamenti con metrature importanti in mono e bilocali, che saranno sempre meno appetibili nel momento in cui la casa dovrà anche essere un ufficio.
Ma questo è un altro discorso. Chiudo segnalando che The Future. Next stop Parma. Il futuro ferma a Parma, manifestazione che ha preso avvio l’anno scorso, sta progettando la seconda edizione, sia pure nella grande incertezza del momento. Iniziando a fissare i punti di progetti e visioni che interessano profondamente la socialità e la cultura di Parma. E che coinvolgono baristi, osti e ristoratori e soprattutto le loro associazioni d’impresa Tutti invitati a reinventarsi la professione e il modello di business. Perché piaccia o meno, essendo comunque per tutti difficile adattarsi ai cambiamenti, il futuro sta ricominciando un’altra volta.
Giorgio Triani