
Parma 2020. È cominciato come Carnevale
Tra l’11 ed il 13 gennaio è stato inaugurato l’anno giubilare di Parma: il 2020, che l’incorona Capitale Italiana della Cultura.
Come ricordato dal ministro Franceschini durante la celebrazione istituzionale del 12 gennaio al Teatro Regio, «l’idea [delle Capitali Italiane della Cultura] è venuta nel 2014, quando nacque la competizione tra le 6 città come Capitale Europea: considerando che la prossima italiana sarebbe stata 14 anni dopo, abbiamo deciso di valorizzare il nostro territorio tra noi. Il primo anno sono state nominate ex aequo le città che avevano gareggiato con Matera, ovvero Ravenna, Cagliari, Lecce, Perugia, Siena; seguite negli anni successivi da Mantova, Pistoia, Palermo, nel 2019 Matera (come Capitale Europea), ed ora Parma. Per il 2021 si sono già candidate 44 tra città e borghi». Queste parole rendono l’idea dell’onore del quale è stata insignita Parma, un onore che nella tre giorni appena conclusa è rimbalzato di palazzo in monumento, una eco cittadina inestinguibile.
Ma in che modo è stata celebrato questo privilegio? E che tipo di cultura è stata posta in rilievo?
che tipo di cultura è stata posta in rilievo?
11 GENNAIO, PEOPLE OF PARMA. Partendo dal primo giorno, i festeggiamenti si sono aperti alle ore 16, con una parata di cittadini denominata People of Parma. Forse si poteva risparmiare quest’anglismo da fiera. Che precipita la città ducale nello strapaese. Ogni abitante della città (e non solo) è stato invitato a ritrovarsi al Parco Ducale, indossando qualcosa di giallo, per passeggiare assieme fino a Piazza Garibaldi. Davanti a loro, maestosi trampolieri vestiti di giallo e blu o con indumenti da opera verdiana; in cima, la Banda Verdi, con le istituzioni rappresentate dal sindaco Pizzarotti, i sindaci della provincia di Parma e di Reggio Emilia e Piacenza, l’assessore Guerra e tanti altri rappresentanti; in coda, la Banda di Felino. Uno spettacolo grandioso se visto dall’alto, con centinaia di persone festanti e gioiose.
Un po’ meno visto dal basso. Le polemiche non sono mancate: tante associazioni e scuole hanno portato in corteo i bambini, che alla fine del percorso non hanno avuto alcun posto riservato. Solo ai sindaci e alle altre istituzioni è stato concesso uno spazietto sotto al palco, delimitato da un nastro rosso retto da due volontarie.
Ah, sì, i volontari. Perennemente terrorizzati, da oggi in poi, perché se la Capitale chiama, loro devono rispondere. Ed, essendo volontariato, accettare senza compenso.
Tanto, dietro c’è sempre un discorso politico: come ha sottolineato il pubblico, ascoltando le parole del sindaco Pizzarotti sull’unità del territorio, ora più che mai. E poco male se l’Inno di Mameli, proiettato sulle mura della sede del Comune, si è bloccato sui versi «Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte/Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò»: si spera non sia una profezia della manifestazione. Ma gli intoppi da emozione possono succedere. Come, infatti, è successo al sindaco Pizzarotti nel giorno di Sant’Ilario, che alla fine del suo discorso gli sono scese alcune lacrime. I soliti maligni hanno commentato: “ Davvero un discorso da pianto”.
Per cosa hanno sfilato, dunque, i parmigiani e i parmensi? Probabilmente neppure loro lo sanno dire con certezza. Curiosità, campanilismo, ideali – forse qualcuno per quella cultura ormai perduta, che si prova a far rinascere con Parma 2020.
12 GENNAIO, CERIMONIA INAUGURALE. La stessa scena si è replicata l’indomani, al Teatro Regio, al cospetto del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella. Un discorso importante, il suo, incentrato sul ruolo della cultura e del tempo, interconnessi e proiettati in dimensione europea: «La cultura d’Europa, con tanti articolati e diversi caratteri, è stata costantemente legata da una trama comune, che diviene sempre più fitta ed interconnessa. È anche per questo che tale cultura è indispensabile per i nostri popoli, per affrontare le grandi trasformazioni di quest’epoca: La cultura batte il tempo», ha concluso, citando il motto di Parma 2020.
L’intervento del Presidente, assieme a quelli del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini e dell’Assessore alla Cultura e alle Politiche Giovanili del Comune Michele Guerra, è rimasto bene o male incentrato sul focus della Capitale Italiana della Cultura. Al contrario, il sindaco di Parma Federico Pizzarotti, seguito a ruota dal Presidente della Provincia di Parma Diego Rossi e (ovviamente) dal Presidente della Regione Emilia-Romagna in carica, Stefano Bonaccini, hanno deviato il discorso ‘cultura’ su una strada più sterrata e politicamente orientata: i primi due, sottolineando ad oltranza l’importanza dell’essere comunità, collegamento di tutto il territorio; il terzo, sciorinando numeri e numeri riguardanti il lavoro da lui intrapreso negli ultimi anni (in questo, ricollegandosi a Pizzarotti, che ha ricordato di aver preso il comando della città quando ormai era «quantomai fallita»).
Una piccola sfilata politica, leggibile alla luce delle imminenti Elezioni Regionali, che la povera Capitale della Cultura forse non si meritava. Ma che non è passata inosservata ai ‘comuni cittadini’ sugli spalti (non tanto comuni, visto che l’accesso era riservato su invito): non pochi di loro hanno borbottato, quando non si sono platealmente alzati per sgranchirsi le gambe.
13 GENNAIO, SANT’ILARIO E LA CITTÀ D’ORO. L’apoteosi dell’evento di massa si è toccata il terzo giorno di manifestazioni. Una giornata iniziata con l’evento cardine dei festeggiamenti del Santo Patrono di Parma: no, non la Messa delle 17, con qualche sparuto partecipante sonnecchiante e le autorità cittadine tanto per presenza; ma s’intende la grande Cerimonia, per la prima volta al Teatro Regio, del Premio Sant’Ilario, istituito nel 1987. Che è il riconoscimento speciale della città, assegnato ai cittadini che si sono particolarmente distinti nel lavoro o impegno civile e sociale.
Quest’anno la Medaglia d’Oro è stata attribuita alla sezione di Parma dell’ANMIC (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili), per avere lavorato in favore dei diritti dei disabili, dell’inclusione e della promozione sociale; alla Gazzetta di Parma, per la plurisecolare attività di informazione e per essere un elemento propulsivo alla crescita della società e contribuendo a crearne le caratteristiche; a Claudio Parmiggiani, per la profondità di pensiero che non si esaurisce nel tempo e che si pone in continuità con la tradizione culturale ed artistica italiana ed europea. Tre nobili propositi, che parlano di tre ambiti di cultura differenti; in onore della Capitale della Cultura, dunque, quest’anno la Medaglia si è triplicata.
Eppure, non è stato questo ad attirare l’attenzione di parmigiani, parmensi o turisti di passaggio. Perché in contemporanea, dalle 10 alle 18, si poteva fare il Viaggio nella città d’oro: Parma è stata narrata dai suoi protagonisti in dieci luoghi preziosi. Da Marco Emilio Lepido a Re Teodorico, da Alessandro Farnese a Barbara Sanseverino; il Parmigianino, Vittorio Bottego, Alceste De Ambris e Umberto Balestrazzi, Arturo Toscanini e Carlo Mattioli. Tralasciando il nome della manifestazione (che copia l’attribuzione sino a ieri esclusiva di Praga), l’iniziativa sarebbe anche potuta essere di grande rilevanza.
Senonché, in palio per tutti vi erano i gadget della manifestazione. Ogni tappa, un timbro sul ‘passaporto’; ogni tre tappe (dieci in tutto), un souvenir a tema Capitale della Cultura, da ritirare in un banchetto in Piazza Garibaldi. Tre miseri tavolini, gestiti da volontari tremanti, presi d’assalto da bambini e adulti, con i timbri svolazzanti sopra le loro teste. Fino alle 17.59, si potevano sentire le urla di gente che domandava «Cosa è rimasto? Vorrei una spilla! Posso avere il magnete?», e i poveri martiri che lanciavano oggetti a destra e a manca.
Il richiamo della gratuità ha spinto le persone fuori di casa, su e giù per il centro, alla ricerca dei vari punti di interesse capitanati da gente in costume e non. Poveri Cristi, che si sgolavano per raccontare – talvolta anche al gelo – una storia che in pochi sentivano, e che in molti hanno tentato di bypassare per arrivare rapidamente al tanto agognato bollino giallo. Una spinta popolare, di persone attirate dal ‘biscottino finale’, che ricorda più una trovata turistica che un’occasione di acculturazione della cittadinanza.
Dove si è manifestata la cultura in questa tre giorni?
TIRARE LE FILA: QUALE CULTURA? La domanda rimane dunque la medesima. Dove si è manifestata la cultura in questa tre giorni? Nelle mostre, realizzate dai privati partner ufficiali – la Barilla, attraverso la Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition (in collaborazione con National Geographic Italia), ovvero Noi, il cibo, il nostro pianeta: Alimentiamo un futuro sostenibile; oppure la Gazzetta di Parma, con Parma è la Gazzetta. Cronaca, cultura, spettacoli, sport: 285 anni di storia? O nella mostra a cura dell’Assessore Guerra, intitolata Time Machine – Vedere e sperimentare il Tempo?
Nel Manifesto di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020 si legge: «Parma, come tutte le città, è un organismo vivente, che respira e si sviluppa lungo regimi di temporalità diversi. I diversi luoghi della città ce lo dimostrano ogni giorno e trasmettono in modo del tutto naturale questi diversi tempi a cittadini di ogni età e di ogni cultura: è quello che gli anglosassoni chiamerebbero passive environmental exposure e che innerva le nostre vite, dà loro profondità storica e sociale, senza che se ne abbia una piena e completa consapevolezza. […] La cultura batte il tempo significa intendere la cultura nel suo senso più ampio, vivo e produttivo, fattore decisivo nel processo di negoziazione che le diverse dimensioni temporali e sociali reclamano: la cultura scandisce il tempo di vita della città e nel far questo favorisce l’abbattimento degli steccati storici e sociali che rendono complicate le forme di dialogo».
Alla luce di queste premesse, si aspettavano soluzioni più di ampio respiro, cosmopolite ma integrate nella città stessa. Una città più europea, come ha intuito il Presidente Mattarella, con manifestazioni meno turistiche e più impegnate, che rispecchiassero la cultura del tempo odierno (visto che batte il tempo) senza attirare gente con specchietti per le allodole. Più che una Parma che rimira se stessa sarebbe stata opportuna una Parma che guarda all’Europa.
Perché se da un lato si è parlato di musica, arte, cinema, teatro, letteratura – tutte culture nelle quali Parma è da sempre eccellente- dall’altro non emergono , nel programma, le figure e ancor più i gruppi, i sodalizi che hanno animato le stagioni culturali più felici della città. I grandi nomi di intellettuali parmigiani sono scomparsi, assieme a quel tempo che qui si prova a celebrare; per colmare i vuoti, si realizzano spettacoli teatrali nei negozi dell’Oltretorrente chiusi per crisi, o si dona il bollino di Parma 2020 alle manifestazioni che ci sarebbero comunque state (una su tutte, la rassegna Verdi Off, che anticipa l’internazionale Festival Verdi). Si sarebbe dovuto seguire il consiglio di Vittorio Sgarbi (a Parma per la Turandot, ma anche per le Elezioni Regionali), e realizzare una mostra su Leonardo e Correggio? Forse. Ma il problema è altro, come abbiamo cercato di scrivere. E’ culturale proprio nella mancanza di una concezione della cultura che sia familiarità, quotidianità con i libri, con l’arte, con i musei e le biblioteche,con le discussioni pubbliche, con le tante e possibili occasioni d’incontro e di manifestazione di passioni civili e politiche.
Se i tempi sono questi e la cultura è questa, spettacolo e turismo soprattutto, forse è necessario raccogliere le idee, prima di celebrare ciò che non si comprende più. Parma e i parmigiani sono ancora in tempo per interrogarsi, almeno un po’, criticamente. Hanno quasi un anno intero per uscire di facile retorica. Ce la faranno ? Ce la faremo?
Silvia Vazzana