
Parma è casa mia
Meravigliosamente provinciale
Io non sono di Parma, vengo da un paesino in provincia di Reggio Emilia, nella bassa. Parma mi ha adottato, sono passati quasi quindici anni, e, adesso che ho trovato i miei bar, quelli dove do del tu al barista, dove parlo di calcio e dove mi faccio prendere in giro, posso dire di sentirmi a casa. Sono arrivato qui per fare l’Università, la prima volta per scelta, perché la facoltà era l’unica in Regione non a numero chiuso, la seconda per obbligo, perché, tornato al paesino dopo la triennale, sono dovuto scappare per non sentirmi soffocato. La seconda volta ho fatto finta di studiare, mi sono trovato da lavorare in una focacceria famosa della città e poi ho conosciuto quella che sarebbe diventata mia moglie e la madre di mia figlia, mi sono pacificato con me stesso, con quello che avrei voluto diventare e con quello che ero davvero.
Riconoscere chi sono è stata una delle cose di cui vado più orgoglioso; lo ammetto, l’essere diventato padre mi ha aiutato parecchio, più che altro a capire le priorità, a capire che il mondo non ruota attorno a me. La nascita di mia figlia è stata la mia rivoluzione copernicana, quella che mi ha permesso di guardare alle cose senza rabbia, che mi ha dato la consapevolezza che il mondo è un posto da abitare e non qualcosa contro cui lottare.
Parma è piccola, è a portata di mano, non si nasconde, la si gira in bicicletta e la vivi tutta, dal centro alla periferia, con una semplicità che, purtroppo, a volte prova a nascondere;
Ogni volta che ne ho l’occasione, e lo ripeto anche qui, dico che Parma è stata essenziale per fare questo passo. Se mi fossi trasferito in una città più grande, penso a Roma o a Milano, probabilmente ora sarei preso a vagare senza meta, a sbattere la testa senza una direzione come la pallina di un flipper che non riesce a trovare la propria strada. Perché Parma è piccola, è a portata di mano, non si nasconde, la si gira in bicicletta e la vivi tutta, dal centro alla periferia, con una semplicità che, purtroppo, a volte prova a nascondere; a volte sembra che si vergogni di quello che è, ed è qualcosa che faccio fatica a digerire. Sembra, a volte, che debba in qualche modo atteggiarsi a grande realtà, a grande città, come se l’essere una città di provincia la sminuisca e non si rende conto – Parma e i parmigiani – che l’essere una città di provincia è quello che fa innamorare le persone di lei.
Mi è capitato di sentire questa cosa, questa vergogna, per la prima volta allo stadio. Avevo appena lasciato il mio lavoro in focacceria e il Parma era in serie B, abitavo dietro allo stadio e mia moglie, al sabato pomeriggio, lavorava. Ho pensato che sarebbe stato bello ritrovare il piacere di frequentare il calcio dopo che la discesa in campo di Berlusconi aveva ucciso la mia passione milanista. Quello che non mi aspettavo era di innamorarmi follemente della squadra, della vita di curva, della tensione irrazionale che mi svegliava la mattina nei giorni della partita, non mi aspettavo di certo che avrei programmato la mia vita in base a quando avrebbe giocato il Parma. Così come non mi aspettavo assolutamente che avrei litigato con i tifosi vicino a me quando giocavamo male e magari pareggiavamo contro squadre sulla carta meno forti, siamo in serie B, ripetevo loro, e poi, una volta promossi, siamo in serie A, dobbiamo salvarci. E loro, i miei compagni di stadio, mi guardavano come se avessi bestemmiato perché per loro era inconcepibile quella prospettiva, anzi, era come se pretendessero che quella squadra neopromossa dovesse lottare per obiettivi razionalmente irraggiungibili, come se si aspettassero di vedere al Tardini la stessa squadra che li aveva incantati durante l’era Tanzi, una squadra che era stata costruita al di sopra delle proprie possibilità, una squadra che è finita come poi tutti sappiamo, purtroppo.
Oggi, dopo che da tifoso ho vissuto un fallimento anche io, che ne ho vissuto il dramma e ne ho pianto le lacrime sacrosante davanti al tribunale nell’estate che ricorderò come una delle più tristi della mia vita, dopo essere partiti dalla serie D, dopo aver vissuto quella cavalcata meravigliosa che ci ha portati a conquistare la serie A sul campo in appena tre anni, mi piace pensare che Parma possa diventare quel tipo di città che lotta per arrivare al traguardo che merita, una squadra, e quindi una città, capace di riconoscersi per quella che è, capace di trovare il suo posto nel mondo, la propria dimensione. La dimensione che è quella che si è ritrovata sotto i portici del Grano inneggiando alla legalità durante la fine dell’amministrazione Vignali, una città che partecipi, tutta insieme, alla propria identità. Un’identità che non è quella di obiettivi razionalmente irraggiungibili, che non può competere con realtà immensamente più grandi ed economicamente più ricche, un’identità che è quella di essere una meravigliosa città di provincia, orgogliosa e combattente, la dimensione che mi ha fatto innamorare di lei subito, appena arrivato, la dimensione che, oggi, non mi fa vergognare di dire che Parma è casa mia.
Roberto Camurri