
Parma non s’accende più.
Pensando a Mario Tommasini
Mario Tommasini: l’impegno sociale per i diritti degli ‘ultimi’ e la chiusura del manicomio di Colorno
Mentre mi chiedo come rispondere a una domanda del prof. Triani, come sempre non banale e ben incastrata nell’ideale dibattito sulla città, mi trovo sotto gli occhi una delle tesi che i nostri studenti hanno presentato nell’ultima sessione estiva. Mi pento di non avere chiesto alla laureanda – Beatrice Pegoraro – che cosa abbia spinto una 25enne ad accostarsi a un personaggio e a un contesto (il Sessantotto) che appare sempre più distante dalla liquidità cialtrona dei nostri attuali dibattiti.
E al di là delle possibili motivazioni personali, trovo proprio in questa tesi – fin dal titolo – una buona parte della risposta alla domanda che il collega mi pone: che cosa c’è di nuovo nella politica di Parma, a un anno dalla elezione di Guerra e di una nuova maggioranza?
Fino a che punto oggi si può davvero mettere in pratica una politica “nuova”, a livello nazionale o locale?
Non me ne vogliano, in Municipio, se alla domanda parmigiana io ne abbino specularmente una romana: stiamo davvero vedendo un nuovo modo di governare da parte di Meloni & C? Ovvero, fino a che punto oggi si può davvero mettere in pratica una politica “nuova”, a livello nazionale o locale?
Non la ritengo una domanda qualunquista, anzi. E’ semmai il frutto di una rassegnazione che deriva dalla somma di assenteismo dei votanti (una cosa vergognosa!), perdita di ruolo dei partiti, anche nel senso di scuole di formazione politica, e infine superficialità di un dibattito che ha oggi nei post dei social la propria “massima” espressione. E se Roma piange – ormai da qualche decennio – Parma non ride. Il primo anno della giunta Guerra è certamente passato senza infamia (e a chi celebra un surreale passato da isola felice andrebbero ricordati guasti disastrosi come la Ghiaia, il Ponte Nord, la Spip…); ma se anche questa fosse una tesi di laurea sarebbe certo difficile parlare anche di lode.
Senza infamia e senza lode perché è stato soprattutto un anno di rodaggio, di buona immagine (Guerra, ma non solo), di apparente coesione (e non era scontato, vista la non facile nascita della nuova alleanza di governo tra Effetto Parma e Pd). Ci sono stati interventi di buon senso e altri meno ragionati, come ad esempio i P days senza valorizzazione del trasporto pubblico. Ma nel complesso, è difficile parlare di gravi errori: perfino il tema-sicurezza, fin qui troppo snobbato in Piazza Garibaldi e lasciato in monopolio alla catastrofica narrazione delle destre, è stato almeno affrontato. Né l’opposizione può urlare più di tanto, visto che ora la destinazione di più risorse e più pattuglie per le forze dell’ordine, oppure la creazione di leggi più severe, è soprattutto in mano loro, che ora governano a Roma.
Però mancano tre cose. La prima è l’individuazione chiara, con relativa comunicazione e condivisione, del disegno di sviluppo della città, fra esigenze imprenditoriali, necessità ambientali ed equilibri sociali. La seconda è una maggior attenzione al degrado, che non è solo un dettaglio formale per parmigiani snob: è invece uno dei primi aspetti da tener d’occhio in una città che, pochi anni dopo la stagione da Capitale della Cultura, voglia affidare proprio al turismo culturale una fetta della propria attrattività. Infine, ed eccoci allo spunto tommasiniano iniziale, manca quel coraggio creativo che in più stagioni e da più parti è sempre stato la cifra distintiva della nostra città. Senza arrivare fino ai manicomi e al Sessantotto come la nostra tesista, a inizio mese è stata ricordata la lacerante vicenda del delitto del Federale. Ebbene, in quella occasione Parma scomodò perfino un ministro della Giustizia e un direttore generale delle Carceri per sottrarre cinque minori ad una probabile scuola di vera delinquenza, attraverso un percorso alternativo e rieducativo: una iniziativa che fece notizia a livello nazionale.
Posso chiudere con una annotazione personale, pur senza conflitti di interessi? Partendo da un mio studio sul tema, avevo proposto fin dall’anno scorso che Parma celebrasse il sessantesimo di un evento culturale unico (il film La rabbia, che mise insieme e contrapposti due personaggi della statura di Pasolini e Guareschi), con un convegno che credo avrebbe potuto avere un risalto nazionale (Michele Serra si era detto interessato, per citare un possibile nome). Il 2023 del sessantesimo, in teoria, non è ancora finito, ma nel frattempo vedo con rammarico che lo spazio sotto piazza Garibaldi (l’ex Cobianchi) sta per essere coperto, dopo essere stato per decenni biblioteca, sala convegni e casa di altre iniziative culturali.
Ecco: al di là delle spiegazioni tecniche sui lavori in Piazza, io spero che Parma ritrovi qualcosa dello spirito di Tommasini (ma anche degli Ulisse Adorni, dei Lauro Grossi, del vescovo Cocchi e di tanti altri) e che voglia davvero scommettere sulla Cultura, anche nella gestione degli spazi (Teatro dei Dialetti, Theatro del Vicolo ecc.) e delle intelligenze (la vicenda delle Briciole è ancora una pagina dolentissima). Perché non è banale ricordare, nella terra di Verdi, la frase secondo cui se “Torniamo all’antico: sarà un progresso”. E nella città che per troppi decenni si è specchiata all’indietro, oggi studiare la nostra storia ed esserne degni potrebbe essere la migliore delle novità.
Gabriele Balestrazzi