Parma è una città abitata da poeti

Parma è una città di poeti. Non che manchino narratori, pittori, musicisti…tutt’altro. Ma senza enfasi si può affermare che Parma e la sua provincia sono un luogo abitato da poeti. Per averne conferma basta sfogliare l’antologia, coordinata da Luca Ariano e da me, intitolata Testimonianze di voci poetiche. 22 poeti a Parma (puntoacapo edizioni, 2018). In realtà i poeti che vivono nella provincia di Parma o che mantengono forti e profondi legami con il territorio sono ben più dei 22 che abbiamo scelto. La “Nota introduttiva” ribadisce: “Ci sono numerosi altri autori in città e provincia; qui compaiono quelli i cui testi conosciamo meglio e che da subito hanno aderito con entusiasmo al progetto. Speriamo che questa antologia stimoli la pubblicazione di altre”.
Facciamo allora i nomi dei poeti che si succedono nel libro: Luca Ariano. Giancarlo Baroni, Daniele Beghé, Luca Bertoletti, Edmondo Busani, Guido Cavalli, Stefania Cavazzon, Mauro De Maria, Antonia Gaita, Angelo Gasparini, Alberto Manzoli, Giuseppe Marchetti, Max Mazzoli, Michele Miccia, Alberto Padovani, Bruno Piccinini, Giovanni Pizzigoni, Laura Puglia, Maria Pia Quintavalla, Alma Saporito, Alessandro Silva, Franco Vecchi.
A questo punto è inevitabile aprire un’ampia parentesi che riguarda le antologie poetiche made in Parma pubblicate negli ultimi decenni.

Giuseppe Marchetti, nel 1991, cura per l’editore Battei il volume l’inquieta speranza. antologia poetica parmigiana. Duecentodieci pagine per 17 poeti: Gian Carlo Artoni, Pier Luigi Bacchini, Luca Bertoletti, Attilio Bertolucci, Alberto Bevilacqua, Marianna Bucchich, Marco Caggiati, Paola Casoli, Mario Cervi, Gian Carlo Conti, Giorgio Cusatelli, Enrico Furlotti, Antonia Gaita, Renzo Pezzani, Pier Carlo Ponzini, Laura Puglia, Attilio Zanichelli. Note bibliografiche ma non biografiche, una breve presentazione critica per ogni poeta, una introduzione del curatore che inizia così: “La scelta per un’antologia è sempre un rebus quasi mai completamente giustificabile”.
Di nuovo Battei pubblica, nel 2002, l’antologia Poeti di Parma nel Novecento, sottotitolo Da Zanetti a Pezzani a Bertolucci. Il curatore è Paolo Briganti, la sequenza dei poeti non rispetta tanto una cronologia anagrafica quanto di composizione o stampa del primo volume di versi, del libro di esordio. Precisa Briganti: “questo primo volume allinea e segue l’intera attività dei poeti di Parma che esordirono nell’arco del primo trentennio del Novecento”. Dei 19 poeti antologizzati citiamo Francesco Zanetti, che nasce nel 1870, muore nel 1938 ed esordisce nel 1900; Renzo Pezzani, che pubblica il suo primo volume in lingua italiana nel 1920; il futurista Piero Illari che esordì negli anni Venti; a conclusione Attilio Bertolucci (1911 – 2000) che a diciotto anni pubblica il suo primo libro: Sirio. L’antologia curata da Briganti raggiunge le 260 pagine, vanta una prefazione di Giorgio Cusatelli; ogni poeta è introdotto da un accurato saggio critico e da puntuali informazioni bio-bibliografiche.
Esce nel 2005, stampata dall’editore MUP, l’antologia curata da Guido Conti Coglierò per te l’ultima rosa del giardino, titolo che riprende i due versi iniziali della poesia di Bertolucci “La rosa bianca”. Il libro, distribuito nelle edicole dalla “Gazzetta di Parma”, esce il giorno di San Valentino e riunisce poesie d’argomento amoroso. L’introduzione di Guido Conti si intitola “La città ha bisogno dei suoi poeti”. Che sono 21: Gian Carlo Artoni, Pier Luigi Bacchini, Giancarlo Baroni, Luca Bertoletti, Attilio Bertolucci, Alberto Bevilacqua, Stefania Cavazzon, Gian Carlo Conti, Giorgio Cusatelli, Gustavo Marchesi, Giuseppe Marchetti, Andrea Peracchi, Pier Carlo Ponzini, Maria Pia Quintavalla, Antonio Riccardi, Arnaldo Scaramuzza, Ettore Silvi, Maria Silvi Bergamaschi, Attili Zanichelli, Cesare Zavattini, Emilio Zucchi. Il libro supera le 180 pagine ed è accompagnato da utili note sugli autori.
Il Gruppo Culturale Letterario Poeti di Parma Amici di Giovanna They, coordinato dalla poetessa Olga Spigaroli, pubblica nel 2012 con l’editore Battei l’antologia poeti di oggi a Parma. La curatrice Giuliana Leporati Gerbella nella Prefazione scrive: “Per rispettare il principio di parità i poeti appaiono in ordine alfabetico, e a tutti viene riservato un uguale spazio”. 150 le pagine del libro,13 i poeti inclusi (fra cui due dialettali): Marisa Battoglia, Arturo Bertoni, Vittorio Campanini, Sara Ferraglia, Terry Ferrari Ampollini, Tiziano Fusco, Giuliana Leporati Gerbella, Gabriella Milani, Luciano Porcari, Danila Rolli, Anna Santi, Olga Spigaroli, Maria Teresa Tessoni.
(Va ricordato che nel 1941 uscì una piccola antologia di versi, intitolata Pianura, dove cinque scrittori si presentavano. Fra loro Gian Carlo Artoni e Mario Colombi Guidotti che poi lascerà la poesia dedicandosi alla critica e soprattutto alla narrativa. L’antologia venne pubblicata dall’officina grafica parmigiana Fresching, che aveva sede in Piazza Ghiaia 7 e che nel 1929 aveva esordito come casa editrice con la raccolta di Attilio Bertolucci Sirio stampata in duecento copie).
Questo meticoloso elenco di nomi (spero di non avere tralasciato nessuno) serve perché, come vedremo in seguito, l’oblio e la dimenticanza costituiscono un rischio e una minaccia sempre presenti.

Leggendo Testimonianze di voci poetiche ci accorgiamo della varietà, pluralità, diversità, di queste ventidue voci. Bianca Venturini, nella rivista “Aurea Parma”, e qui sta un passaggio fondamentale del discorso che voglio sviluppare, scrive: “Quasi una fotografia, questo libro fissa sulla carta la vivace complessità e ricchezza della vita poetica parmigiana. Abituati a rinchiudere i versi nell’ambito geografico di una scuola, ci troviamo davanti ad un universo completamente differente”. Il critico e poeta Stefano Vitale, sulla rivista on line “Margutte”, ribadisce: “Parma fa da collante, è lo spazio-tempo della creatività poetica, è la cornice dove una serie di esperienze differenti trova un’area di contatto. Si potrebbe quindi parlare di arcipelago parmense che ovviamente non identifica una linea ben definita…ma esprime un comune sentire”. Un’immagine particolarmente efficace e calzante questa dell’“arcipelago”; la varietà della poesia parmense odierna non è sinonimo di confusione ma di rigogliosa vivacità.

Pier Paolo Pasolini, in Passione e ideologia, pubblicato da Garzanti nel 1960, dedicava 3 delle quasi 500 pagine alla “Officina parmigiana”, offrendone una panoramica il cui orizzonte temporale si fermava al 1957. Vede in questa “officina” una tendenza a ridurre l’ermetismo “a dimensioni più miti e cordiali”, ne sottolinea la grazia, il poetico realismo. Diversi i poeti citati: Bertolucci e il figlio Bernardo, Alberto Bevilacqua, Giorgio Cusatelli, Gian Carlo Conti, Gian Carlo Artoni. La definizione di “Officina Parmigiana” si è rivelata particolarmente azzeccata e continua a durare e a resistere nonostante siano trascorsi sessant’anni. Un’officina che non è assolutamente una scuola e una corrente ma un laboratorio aperto dove esperienze poetiche differenti si formano e si confrontano. La floridezza dell’attuale poesia parmense nasce e cresce in un terreno reso fertile dai tanti ottimi poeti che ci hanno preceduti, a cominciare da Attilio Bertolucci e Pier Luigi Bacchini. Dei libri di versi di Bertolucci si è molto detto e scritto, sono noti, studiati e apprezzati; quelli di Bacchini si stanno sempre più imponendo all’attenzione della critica e dei lettori per la bellezza e l’originalità dei versi, l’ampiezza degli orizzonti.
In Passione e ideologia, il giudizio di Pasolini su Gian Carlo Conti non sembra particolarmente generoso (“un delizioso manierista bertolucciano – bassaniano”); in realtà parecchie poesie di Conti, che proprio nel 1960 pubblica con Feltrinelli Il profumo dei tigli, conservano una grazia, una freschezza, una naturalezza, come se il trascorrere degli anni non riuscisse a scalfirle. Di Gian Carlo Artoni, Pasolini scrive: “Ritroveremo in lui i dati per così dire realistici, ma limitati a una realtà già del tutto poetizzata”. Un’esperienza particolare e significativa, quella di Artoni poeta, che partecipò attivamente a due riviste importanti: il “Raccoglitore” (1951-1959) e “Palatina” (1957-1966). Nel 1963 pubblica con Mondadori la raccolta Lo stesso dolore, ma dopo quell’importante riconoscimento segue un silenzio che durerà circa cinquant’anni. Contemporaneamente in Italia si forma il Gruppo ’63 e comincia ad affermarsi la neoavanguardia e la poesia sperimentale, fenomeni che niente hanno in comune con la classica poesia di Artoni. Il quale ritornerà a pubblicare (stimolato amichevolmente da Luigi Alfieri e Paolo Briganti) nel 2014, a novant’anni compiuti. Nel 2015 e 2016 e fino alla sua scomparsa (gennaio 2017), lascerà piena libertà alla sua smania di scrivere versi, decisamente più semplici nel ritmo e nella forma dei precedenti e più noti. Sembra voglia recuperare affannosamente il tempo perduto e allontanare da sé, grazie alla scrittura, l’incubo e il fantasma della morte. In questo breve periodo, l’abbondanza delle sue poesie (pagine di un inesauribile diario in versi), costituiscono una specie di sfida alla nostra comune invincibile nemica. Nel 2015 e 2016 pubblicherà tre volumi, uno dei quali, La luna bianca, particolarmente corposo. Ne cito pochi versi: “non ti resta, / per vivere, // che tentare / di scrivere”.

Parma e la sua provincia hanno avuto però nell’illustre recente passato diversi poeti che sono rimasti un poco ai margini e in penombra. Il 2021 sarà, credo e spero, l’anno giusto per iniziare a riscoprirli pienamente. Sarebbero tanti quelli da citare, mi limito a tre nomi: Amelia Amoretti, Pier Carlo Ponzini e Bruno Piccinini. Amelia Amoretti, nata nel 1911 e scomparsa nel 2000: gli stessi identici anni di Attilio Bertolucci. A metà anni Cinquanta esce la sua raccolta In ascolto, che vinse il Premio Bergamo, poi per più di trent’anni non pubblicò nulla (scelta che richiama alla mente quella di Artoni). Tornò quasi ottantenne alla scrittura con Soltanto una piccola matita, opera stampata da Battei nel 1990, dove amore e dolore con sobrietà si intrecciano; particolarmente riuscita è la sezione dedicata al nostro Battistero e intitolata “I mesi dell’Antelami”. Pier Carlo Ponzini (Bedonia, 1937) nel volume Alla ricerca della passione (Garzanti, 1966), raccoglie poesie scritte nei dieci anni precedenti. Nel risvolto di copertina una nota critica dice: “Ponzini è un poeta nuovo. Non nuovissimo nel senso minore della parola: cioè non all’ultima moda, non preso nel gioco crudele delle avanguardie”. Alla fine del volume l’autore dice: “Ringrazio tutti gli amici che in questi anni hanno voluto dedicarmi la loro attenzione e in modo particolare Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni e Mario Lavagetto”. I versi del suo primo libro possiedono ritmi e movenze classiche, invece quelli del secondo, Trenta sonetti (Garzanti, 1991), si dilatano, si complicano e diventano più sperimentali. Successivamente non mi pare abbia pubblicato altro, ma le sue poesie stampate meriterebbero una maggiore visibilità e diffusione. Quasi coetaneo di Ponzini è Bruno Piccinini, nato a Medesano nel 1938. Pubblica la sua prima raccolta di versi, Carta d’identità (Diabasis) a settant’anni alla quale seguono, a ottanta compiuti, due altre opere di notevole qualità: Credere nel corpo (2016) e ancora ti parlo (2019) entrambe stampate da Passigli. Versi riflessivi e misurati dove la vita, anche nei suoi momenti più dolorosi, diventa vera poesia.

A questo punto ritorno in maniera quasi circolare all’inizio e concludo il mio discorso. Quello che mi preme sottolineare è che la varietà e molteplicità di stili, voci, temi, ritmi, linguaggi, non appartiene solo al presente della poesia parmigiana, ma anche al suo passato. Esistevano voci assai più aspre e ruvide rispetto a quelle più note; voci che meritano, come sta gradualmente avvenendo, di essere riscoperte e rivalutate appieno. Pensiamo ad Attilio Zanichelli, operaio alla Bormioli, nato nel ‘31 e scomparso nel ‘94. Stimato da Franco Fortini pubblica nel 1982 con Einaudi Una cosa sublime. Con Guanda aveva precedentemente pubblicato (1973), la raccolta di poesie intitolata Giù fino al cielo, introdotta in maniera illuminante da Attilio Bertolucci che, pur rimarcando la distanza e la differenza fra la propria poesia e quella di Zanchelli, ne apprezza la qualità e ne riconosce la validità della ricerca. Afferma Bertolucci: “Un poeta nuovo e in un certo senso sorprendente Zanichelli …La città ha una sua tradizione recente, non recentissima, nel campo della poesia…Ebbene, Zanichelli questa tradizione l’ha decisamente rifiutata, chissà quanto volontaristicamente, polemicamente e quanto per fatale diversità. Qui non posso sottrarmi alla tentazione di rivelare che Zanichelli, già socialmente, era forse escluso da una poesia che è stata praticata sempre dai figli della borghesia…Un naif allora? Niente affatto…”. La sua scrittura è densa, elaborata e complessa, magmatica, veemente, gridata, ribelle, forte e dura e contemporaneamente allusiva e visionaria; poesia dalle immagini originali e ricercate, dagli accostamenti insoliti e dai toni espressionistici e surreali. I versi finali di una lirica intitolata “Poesia” dicono: “…ma non è fuga /dalla vita la poesia che arde nella tua anima”.
Un poeta che mi attrae particolarmente, per la sua bravura e anche per il mistero che lo circonda, è Enrico Furlotti. Nel 1967 pubblicò con Mondadori una raccolta intitolata Andare e venire. Di lui so che è nato a Parma nel 1930, che ha avuto una vita avventurosa, come risulta dai suoi versi che raccontano a volte con ruvidezza e asprezza episodi concreti e duri di vita quotidiana. Parecchie sono le città e i luoghi dove il poeta ambienta le sue storie e dove, come dice il titolo, personaggi inquieti vanno e vengono senza sosta. Diverse le poesie dedicate a Parma, non idealizzata ma popolare. Furlotti dice di sé: “perché prima di essere un cameriere vagabondo, sono un poeta”. Da decenni di lui non si sa nulla: se, come ci auguriamo, è ancora in vita, se ha delle poesie nel cassetto, se ha voglia di raccontarsi, se qualcuno può farlo per lui… Probabilmente ha preferito fare perdere le proprie tracce, forse la vita l’ha portato chissà dove. Forse chi potrebbe fornirci testimonianze preziose fa parte di quella generazione che ci sta purtroppo, assieme ai suoi tanti ricordi, lasciando. Furlotti è un poeta da riscoprire, da leggere e da valorizzare. Confesso che mi legano a lui motivi sentimentali: alcune sue poesie raccontano i borghi dove ho trascorso la mia infanzia (“da borgo delle Colonne fino a via Saffi”) e uno dei protagonisti di una sua poesia si chiama Mario, proprio come mio padre, anzi potrebbe essere lui. Ma non ho più la possibilità di chiederglielo, come dice questa mia recente poesia:

“Avrei voluto chiedere a mio padre
se da giovane aveva conosciuto
il cameriere poeta Enrico Furlotti

che girava il mondo sulle navi
e se quel Mario
che Furlotti aveva nominato
in una poesia sui borghi dove sono nato
era per caso lui. Mi avrebbe risposto

am ricordi pu non mi ricordo. Quelli del ’24
portavano un fardello sulle spalle
che spesso gli impediva di parlare”.

Giancarlo Baroni