
Parma: una città nel pallone
Che non gioca però col futuro
D ue bei baffi alla Duchessa e una bella barba da hipster al Maestro. Con attitudine allegramente dissacrante dei miti ducali. Che sono piuttosto esausti. E che, come più in generale il sentimento cittadino, ancor più delle atmosfere culturali necessitano di ricostituenti. Di robuste iniezioni di novità. Di idee e entusiasmi nuovi. Necessari, se non indispensabili, peraltro. Nel momento in cui il futuro si propone velocissimo e distruttivo. Visto che non passa giorno che dalle nostre esistenze quotidiane sparisca o crolli qualcosa che facevamo da sempre e pensavamo fosse eterno: un oggetto, un’abitudine di consumo, un tipo d’esperienza o di lavoro. Nello stesso tempo in cui cose da fantascienza o futuribili sono annunciate come imminenti.
Si prospetta come prossimo l’avvio della colonizzazione di Marte e vicino il traguardo dei 120 anni di vita. Ma intanto furoreggia un “ritorno al futuro” che non è solo folklore, revival merceologico. Ma soprattutto furore che accende un ampio fronte di secessionisti e fondamentalisti, odiatori seriali e haters di giornata. Un tutti contro tutti segnato da un’inatteso risorgimento di antiche identità territoriali, razziali, religiose, culturali. Da un “localismo armato” irriducibilmente avverso alla globalizzazione, in nome di storiche appartenenze municipali e campanilistiche. Tutti a casa: dal McMondo si ritorna al Km 0. Al donne buoi dei paesi tuoi.
Le regioni Veneto e Liguria hanno chiesto che nei consigli regionali venga ripristinato la lingua locale e lo stesso chiedono in Corsica e Sardegna. Nella nostra regione questo non accade perché un secolo di socialismo ha significato un forte sentimento internazionalista. Però il recente smottamento elettorale che ha visto territori “rossi” da sempre diventare leghisti, indica che anche qui un mondo sta finendo o forse è già finito. Perchè l’orizzonte non è più l’Europa; e anche l’identità nazionale scolora e cede a un provincialismo spesso indulgente allo strapaese.
Per fortuna, al momento, ancora non è spuntato qualcuno a rivendicare una dignità pubblica (in consiglio comunale?) per il dialetto parmigiano. Ma battute a parte e per riprendere le osservazioni iniziali a Parma è il dejà vu, reiterato e insistito che s’impone. Vero è che c’è sempre stato molto passato nel presente di Parma. Ma oggi di più. Per la ragione che la città è in cerca di identità. Che non ha più. Che ha smarrito. Non sa, infatti, se essere o cercare di essere una piccola Milano oppure se è una area metropolitana “tascabile” dopo la scomparsa di fatto della Provincia. Certò non c’è più “Parma rossa”, inabissatasi a fine secolo, come il “cuore di Parma”; ma anche il civismo è un’etichetta che comprende tutto e il suo contrario (Civiltà parmigiana e Ubaldi, Grillo e Pizzaroti&Effetto Parma). La politica è quasi morta e i partiti se la passano peggio. Nondimeno anche i “poteri forti” sono spariti, liquefatti: Pietro Barilla è morto da un pezzo. E con lui le mitologie imprenditoriali incarnate da Bubi Bormioli.
Si prospetta come prossimo l’avvio della colonizzazione di Marte e vicino il traguardo dei 120 anni di vita.
È questo vuoto identitario che spiega la straordinaria partecipazione di popolo, sceso in piazza per festeggiare il ritorno del calcio in Serie A. Una città piuttosto vecchia e sonnacchiosa si è scoperta furiosamente crociata. Intendiamoci l’impresa calcistica ci sta tutta, perché effettivamente la promozione è stata la congiunzione di una serie di fattori in qualche modo eccezionale, per come è venuta materializzandosi nella giornata finale. Però il calcio è poco: può concorrere ma certo non costruisce un’identità cittadina. E comunque siamo sempre di fronte a un fenomeno che attinge alla tradizione. Ovviamente gloriosa, perché è la Parma degli anni ’90 che vinceva in Europa. Peraltro che questo sia il mood della città è comprovato dall’insistenza con cui nella rappresentazione cittadina figurano la gastronomia e il melodramma, il festival Verdi e il food distribuito ovunque e a più non posso. Gola Gola era un titolo vagamente pornografico, ma resta il fatto che non c’è evento cittadino, anche conferenza/mostra che non si concluda con un brindisi e uno stuzzichino. Di novità però non se ne vedono: oltre lo show coocking non si va e il food street si installa non per le strade periferiche di Parma ma in Piazza della Pilotta e sotto i Portici del Grano. Il centro, soprattutto di sera, diventa una grande mangiatoia, il cui simbolo e gesto unificante è stare in strada con il bicchiere in mano.
Aggiungiamoci le Mille e Miglia e all’orizzonte si vede la Parma che fu. Che felicemente si rimira. Ma che non può più essere. Il titolo di città capitale della cultura 2020 potrebbe essere un’occasione per ammodernare, innovare, sperimentare nuovi modi di divulgazione culturale e scientifica. Che non siano però le solite e un po’ polverose conferenze, in grande aumento dopo che la l’Università ha ufficialmente fatto propria la “terza missione”, trasferendo sul territorio modelli di lezione frontale che lasciano tutto il tempo che trovano nell’epoca del web, dei Ted, dei premi Nobel che in 15 minuti di video ti spiegano come funzionano saperi e tecniche molto complesse.
Ovviamente non si tratta di gettare via tutto, in nome di un insensato nuovismo. Tuttavia è indubbio che le sfide più importanti che deve affrontare la città presuppongono idee e pratiche nuove. Soluzioni originali, approcci sperimentali, voglia di provarci, di mettersi in discussione. Qui però visto che non siamo a tavola, dove tutti i discorsi finiscono in gloria, appaiono nitidamente i vuoti, le incertezze e la mancanza di pensieri forti. Di leadership progettuali e imprenditoriali. E ancor più culturali. Un inquinamento fra i più alti d’Europa, in un territorio che si definisce food valley, ma che ha qualità delle acque e dell’aria pessima, dovrebbe sollecitare interventi e politiche drastiche e lungimiranti. A partire da una mobilità meno inquinante, che però al momento ha numeri da paura. Il Bike sharing non arriva ai mille utenti, il car sharing ne ha poco più di 300 e in questo parco macchine le meno usate sono le due auto elettriche. Parleranno di questo nel prossimo Festival della Mobilità?
Ma pensando al presente e guardando al futuro vien da chiedersi: e l’aeroporto che da vent’anni macina debiti e spreca risorse, anzichè continuare con proposte e piani industriali che in vent’anni sono regolarmente falliti, perché non tenta vie nuove ? Non prova a replicare quello che vent’anni fa fece Ryanair nei confronti delle paludate compagnie di bandiera, ovvero sbaraccarle applicando le nascenti tecnologie nuove dell’epoca (internet) a un modello di business aviatorio completamente nuovo? Nell’epoca di big data, organizzare l’utenza, il Blablacar dell’aria, è questione di app. Più facile e semplice di quanto si possa pensare. Ma avendo la visione giusta e ancor prima la volontà di cambiare e la testa per farlo.
Ma un futuro che non si vede è plasticamente rappresentato da Ponte Nord. Sorta di balena spiaggiata (sul torrente) che è costato più di 20 milioni di euro, ma, ancora non completato, sconta l’assenza di idee e proposte su cosa farne, su quali utilizzi puntare. O meglio ce n’è una, che è stata presentata lo scorso novembre per Scritture d’Acqua, cioè costruire attorno a un Museo dell’acqua un progetto pubblico-privato che sia anche commerciale, in senso turistico e affermi ufficialmente ciò che Parma in realtà è: una capitale dell’acqua, per la presenza di tanti soggetti pubblici che hanno competenze regionali e nazionali in materia. Ma al momento è anch’essa arenata nel solito mare di chiacchiere parmigiane che portano concretamente a niente.
È l’anima salottiera e cortigiana della città che puntualmente emerge e che avvolge tutto nel rassicurante culto delle reliquie. Nella compiaciuta celebrazione di un passato che, anche quando remoto, risulta più che mai contemporaneo. Non tanto perché rassicurante. Ma perché idee, pratiche e proposte inventive, anche spiazzanti, eccentriche non ce ne sono. Non se ne vedono. Non ci si scommette e non ci si investe un euro. E così la narrazione, il parmesan storytelling, continua a celebrare l’esistente. Quasi inconsapevole, per fare due esempi, che la città non è solo food, ma anche punto di riferimento internazionale delle bioscienze e del medicale. E che la millenial classic, ovvero le nuove tendenze della musica colta, post o neo classica, che vanta importanti giovani compositori italiani, la si suona e ascolta non al Festival Verdi di Parma ma a Berlino.
Giorgio Triani