Requiem per Villa Verdi.
Chiusura e promesse.

 

La chiusura e le memorie di Alberto Carrara Verdi, ultimo testimone del genio Verdi

CHIUSURE E PROMESSE

13 luglio, 2023

 

Mi trovo davanti a un cancello chiuso di una villa ottocentesca, ormai in disuso. Le sterpaglie e le piante del parco si riprendono i loro spazi, mentre le ante e le porte dell’edificio sono ben serrate. Una bellezza ormai trascurata avvolta in un silenzio rumoroso in un qualsiasi pomeriggio caldo d’estate della pianura Padana. Sono a Villanova d’Arda ad ammirare la tenuta di Sant’Agata, abitata per cinquant’anni dal compositore Giuseppe Verdi. Peccato che lo possa fare solo da fuori e di quel che posso vedere ne è rimasto ben poco, poiché lo scorso ottobre è stata chiusa definitivamente al pubblico.
Dopo la chiusura forzata della villa nel 2020, a causa della pandemia, è stata aperta una campagna di crowdfunding per tenerla aperta e avviare le ristrutturazioni di cui la villa necessitava da tempo. Risultato: niente restauri, ma apertura temporanea al pubblico fino alla totale chiusura del 30 ottobre 2022. Il motivo della chiusura? La Suprema Corte ha deciso che l’eredità di Alberto Carrara Verdi, scomparso nel 2001, deve essere divisa in parti uguali tra i figli, dopo la lunga gestione del signor Angiolo, uno dei figli, che aveva rilevato le quote della parte museale, dopo la morte di sua madre. Ma siccome nessuno è stato in grado di rilevare le quote dell’altro (esclusa la figlia Emanuela, deceduta nel 2020), la casa-museo è stata messa in vendita.
Un patrimonio artistico di tale entità non può esaurirsi in una questione di eredità. Per tal motivo, riceve un importante attenzione mediatica: da artisti ai giornali, dalle fondazioni culturali fino ad arrivare alle istituzioni. Non è mancata qualche mese fa la passerella del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano che ha dichiarato che lo Stato, con lo stanziamento di 20 milioni di euro nella legge di Bilancio di fine 2022, ha esercitato il suo diritto di prelazione per poter acquisire Villa Verdi.
Il progetto prevede la creazione di una fondazione che gestirà un itinerario verdiano non ancora definito. Si è aggiunta la sollecitazione di Dominique Meyer, sovrintendente della Scala, a coinvolgere le quattordici fondazioni lirico-sinfoniche che hanno risposto positivamente.
Dopo otto mesi, tutto tace. Ci restano solo le promesse del Ministro. La proprietà della villa è in mano al Tribunale di Parma che deve ancora istruire l’asta. Ma come in tutte le cose in Italia, i tempi burocratici sono il vero antipasto per prepararci ad ascoltare uno dei tanti requiem verdiani.

LA CASA D’ARTISTA

Oggi, l’immagine della villa che soccombe al silenzio mediatico è raccapricciante. È triste che una casa d’artista sia diventata oggetto di una questione puramente economica. Perché casa d’artista? Tutto è stato progettato da Verdi stesso, persino il parco. Nulla è lasciato al caso.
La proprietà venne acquisita da Giuseppe Verdi nel 1848 per trasferirci i suoi genitori. Dopo la morte di sua madre, il padre tornò a vivere a Busseto, mentre Verdi e sua moglie Giuseppina Strepponi si stabilirono nella villa, dal 1851 in poi. Fu Verdi che eseguì di proprio pugno gli schizzi del progetto di ampliamento della tenuta per trasformarla come oggi noi la vediamo. Fece aggiungere due ali alla costruzione originale, completando il tutto con una grande terrazza sulla facciata, le serre, una cappella e la rimessa per le carrozze sul retro. I due coniugi si dedicarono poi alla realizzazione del parco, curando ogni suo minimo dettaglio.
Il tutto rispettando i canoni estetici dell’epoca. E di estetica si parla quando il genio di Verdi si manifesta. In fin dei conti, quella villa custodisce lo spirito artistico del musicista. Ma con un abbandono definitivo, si rischierebbe di perdere anche quello.

ALBERTO CARRARA VERDI, ULTIMO TESTIMONE

L’estro creativo di Verdi è ampiamente testimoniato dai ricordi di chi l’ha vissuto direttamente o indirettamente. Un esempio è l’intervista della giornalista Isabella Fabbri ad Alberto Carrara Verdi, pronipote del compositore.
Morto nel 2001, fu notaio a Busseto ed erede di Giuseppe Verdi. L’ultimo vero testimone del maestro, come lo chiamava lui, grazie ai ricordi, filtrati attraverso i racconti della nonna e del padre. Memorie vivaci e intense, rinnovate anche nel contatto quotidiano con gli oggetti, i cimeli, l’atmosfera della casa-museo.
“Tutto nel mondo è burla/ è l’uom nato burlone, burlone, burlone” è l’aria famosa del finale del Falstaff, nata molto probabilmente in un momento particolare vissuto in quella casa. Il pronipote racconta che il maestro, tramite Ricordi, aveva abbonato suo padre e le sue zie ad un giornalino pubblicato a Milano. Questi giornalini e altre riviste arrivavano a Sant’Agata, portati da un servitore che andava avanti e indietro da Busseto con la posta. Era l’epoca in cui Verdi scriveva il Falstaff. Un giorno sua zia prese in mano un giornalino e vide raffigurati dei nani. Si mise a battere le mani e a dire:”Oh i nani burloni, oh i nani burloni…”. All’improvviso il maestro si alzò e andò nello studio e nel silenzio più totale, ci rimase dieci minuti. Forse, gli era arrivata la giusta ispirazione.
Un’opera composta su testi di Arrigo Boito. Verdi lo ha ospitato spesso nella sua tenuta. Il compositore stava nella sua stanza e Boito di sopra nella sua. Per comunicare si scambiavano i bigliettini che il cameriere portava avanti e indietro. Per esempio, Verdi scriveva “Caro Boito mettimi in endecasillabi questa frase” e Boito gliela mandava giù. Tanti aneddoti, tante storie girano intorno a quella villa e alla figura di Giuseppe Verdi.
E dall’intervista trapelano le abitudini alimentari di Verdi (mangiava in genere il pesce pescato dal Po), ma anche come spendeva il suo tempo libero tra un sigaro e una partita a biliardo. Un connubio tra uomo e artista che emerge dalle stanze e dagli oggetti presenti in villa.
Era un genio perché aveva conoscenze in quasi tutti i campi. Alberto rivelò come l’architetto Cervellati lo definì un architetto finito. Perché nella sua villa si rintraccia una incredibile armonia. E non solo architetto, ma anche agricoltore considerando come ha curato il parco, tra poderi, colombaie e mulini progettati da lui stesso.
Musicista, politico, intellettuale, architetto, agricoltore, studioso e tanto altro ancora era Giuseppe Verdi. Era un’artista sui generis e questa casa rispecchia la sua anima.
Un giorno Verdi prese sottobraccio la nonna di Alberto e le disse: “Marì ho pensato di non farmi seppellire qui perché se da morto sono qui voi la casa non la abitate più e io voglio che la mia casa la abitiate”. Questo era quello che voleva. Da qui è nato nella nonna, nel padre e in Alberto questo geloso riserbo, questo desiderio di tenere la casa così come era. Alberto Verdi dichiara che “se domani il maestro dovesse tornare, troverebbe la sua casa nello stesso modo in cui l’ha lasciata”.
Purtroppo, nello stato attuale, la casa non è né abitata né proprietà di nessuno. È una delle solite burle tutte italiane? Intanto, si prepari una messa da requiem per la casa d’artista.
Matteo Gibellini