Studio a Parma. Ma ci verrò solo il giorno della laurea. Forse.

Grazie alla pandemia, nella mia vita si è creato l’asse Monza-Parma. Chiariamoci: non che il coronavirus si sia accreditato dei meriti. Credo però, che ci abbia spinti a superare dei limiti. Come quello dello spazio, della distanza, del fuori sede. Questa è la storia di come il susseguirsi degli eventi riguardanti l’emergenza sanitaria mi hanno convinto ad iscrivermi ad una facoltà dell’università parmense.
Dalla laurea triennale è passato un anno e avevo abbandonato per sempre l’idea di continuare a studiare. I corsi delle facoltà più vicine non mi piacevano. Avevo guardato tutto, oltre a Milano anche Bergamo, Varese o qualsiasi altro posto che potesse profumare di futuro ed essere raggiungibile in giornata, per conciliare anche gli impegni lavorativi. Ma nulla, era un’utopia riuscire a stare dietro a tutto. Parma è entrata nel mio cuore da quando ho letto il piano di studi: poi, è uscita subito, perché due ore di tragitto ogni giorno era fuori discussione.

inaspettatamente, è arrivato il Covid-19. Che tutto ha distrutto, tutto ha rallentato

Tuttavia, come per tutti, inaspettatamente, è arrivato il Covid-19. Che tutto ha distrutto, tutto ha rallentato, a parte la tecnologia. Ho sentito la necessità di cavalcare questo momento. Sono 137 i chilometri che dividono il capoluogo brianzolo a Parma, ma comunque, io, da settembre 2020, tutte le mattine mi sento a Parma. Accendo il computer, mi connetto al mio account Teams e, esattamente come farei in un’aula della Statale di Milano, mi posiziono defilata tra gli altri studenti, e seguo le lezioni dell’università online. Se ho voglia alzo la mano, parlo e mi confronto con i miei colleghi. E tutto ciò posso farlo dal divano o dal tavolino in balcone. È successo che un giorno una professoressa avesse dei sintomi influenzali e di conseguenza, inderogabilmente, la lezione in aula è stata sospesa. Ma da casa, lei che comunque si sentiva attiva e in buona salute, ha portato avanti il programma. Fazzoletti a portata di mano e the show must go on. Al secondo mio appello d’esame, invece, fissato alle 8,30 di mattina, avevo più sonno del solito e mi sono degnata di alzare la testa dal cuscino solo alle 7:55.

Può suonare paradossale, ma io, senza la pandemia, non avrei mai potuto iscrivermi

Quanto tempo risparmiato? Può suonare paradossale, ma io, senza la pandemia, non avrei mai potuto iscrivermi all’università. Parma, per me, sarebbe stata più lontana. È assurdo che abbiamo dovuto aspettare l’evento più sconvolgente degli ultimi cento anni per abbattere certi ostacoli. Fino a qualche mese fa perdere il treno significava saltare la lezione. Lo sciopero dei mezzi, la neve, un guasto alla metropolitana, ora sono problemi che non spaventano più. Professori che per qualche minuto di intervento durante un convegno percorrevano chilometri sul Frecciarossa. Col senno di poi, la soluzione sembra così banale e applicabile.
Vivere come se facessi parte di una realtà aumentata, però, non è sempre rose e fiori. Per quanto ormai gli spazi siano contratti, noi ci allontaniamo sempre di più. Non so ancora se avrò modo di avere compagni di banco con i quali lamentarmi, studiare e ripetere i contenuti di un esame. Conosco i colleghi solo attraverso una foto profilo e una e-mail. Chissà quale sarebbe stato il bar in città dove festeggiare i buoni risultati. Devo solo credere a quelli che parlando di università affermano «Bella Parma!». Mi sento disorientata nel luogo in cui sto costruendo il mio futuro. Ad oggi, infatti, conosco la città solo per parole chiave: Giuseppe Verdi, anolini in brodo e Ris. Ad oggi, spero di varcare le porte di Parma almeno il giorno della mia laurea.  

Simona Ambruosi